Da quando è tornato alla Casa Bianca, meno di un anno fa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha adottato un approccio alla politica estera basato sull’uso del commercio come “arma” e sulla coercizione economica per ridisegnare il sistema internazionale a favore delle aziende americane. Non si tratta semplicemente di sollecitare l’eliminazione delle tariffe doganali sulle esportazioni statunitensi, ma piuttosto di una strategia mirata contro quei paesi considerati “dannosi” per le imprese americane e, di conseguenza, per gli stessi Stati Uniti.
All’interno di questa strategia, uno degli elementi più distintivi del governo Trump 2.0 è il rinnovato rapporto con l’industria tech. Questo nuovo approccio è evidente su più fronti: dall’escalation nella guerra commerciale con la Cina al “caso TikTok”, fino alla minaccia di ritorsioni economiche contro gli alleati – compresa l’Unione Europea – in caso di “discriminazione” nei confronti delle aziende americane.
Lo scontro con la Cina passa per il tech
La Casa Bianca sembra intenzionata a intensificare il proprio approccio nei confronti della Cina nel settore digitale, ampliando al contempo la portata dei controlli sulle esportazioni statunitensi. È stato lo stesso Trump a porre la Cina al centro dell’agenda politica americana, trasformandola da semplice concorrente commerciale a vera e propria minaccia nazionale.
In questo contesto di tensioni crescenti, che rischiano di compromettere la catena di approvvigionamento tecnologico globale, si inserisce il “caso TikTok”. Per Trump, l’applicazione non è soltanto una piattaforma di social media, ma una risorsa strategica: un mezzo per diffondere contenuti MAGA, ricompensare gli alleati e ribadire la supremazia degli Stati Uniti sul rivale.
L’app cinese rappresenta, dunque, un importante strumento di negoziazione con Pechino. Il primo giorno del suo ritorno in carica, Trump ha infatti emesso un ordine esecutivo per ritardare il bando dell’app, prorogandone successivamente la scadenza. Alla fine di settembre, è stato annunciato un accordo con il presidente cinese Xi Jinping per consentire a TikTok di continuare a operare negli Stati Uniti, nonostante una legge del 2024 imponesse alla società madre ByteDance di cedere la propria partecipazione nel paese, pena il bando.
Durante il suo primo mandato, Trump aveva giustificato la stretta sull’app come un tentativo di contrastare l’influenza straniera. Oggi, quell’approccio si è evoluto in una forma di politica estera più apertamente transazionale, in parte leva geopolitica e in parte manovra capitalista clientelare.
L’accordo su TikTok non rappresenta un episodio isolato, ma rientra in una strategia più ampia con cui Washington coniuga interventismo economico e opportunismo fiscale. Negli ultimi mesi, l’amministrazione Trump ha imposto ai produttori di microchip statunitensi NVIDIA e AMD di versare al governo il 15% dei loro ricavi dal mercato cinese, oltre a spingere per l’acquisizione del 10% delle quote azionarie di Intel. Queste manovre rafforzano il messaggio che l’adesione all’agenda economico-commerciale di Trump 2.0 è ormai una condizione imprescindibile per la sopravvivenza delle aziende operanti nei settori strategici.
Attriti transatlantici
Il ritorno di Donald Trump ha ridisegnato anche storiche alleanze, a partire da quella transatlantica. Pochi giorni dopo la firma dell’accordo scozzese tra l’UE e gli Stati Uniti, il presidente ha riacceso le tensioni minacciando “dazi sostanziali” contro qualsiasi paese che adotti normative digitali rivolte alle aziende tech statunitensi – un chiaro attacco all’Unione Europea.
La regolamentazione dell’ecosistema digitale è da tempo un punto di frizione tra Washington e Bruxelles. Più volte, i funzionari americani hanno giudicato le normative europee degli ostacoli non tariffari al commercio, sostenendo che tale approccio limiti ingiustamente le attività delle proprie aziende. Eppure, strumenti come il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA) – pietre miliari della sovranità digitale europea – non prendono di mira alcuna nazione o impresa specifica. Il loro obiettivo è promuovere una maggiore trasparenza, sostenibilità e tutela degli utenti.
Le recenti provocazioni di Trump non sono quindi solo una disputa sui dazi, ma una contestazione diretta del diritto dell’UE di regolamentare il proprio mercato digitale in conformità con i principi democratici e l’interesse comunitario. L’obiettivo della Casa Bianca è evidente: smantellare qualsiasi barriera normativa che possa ostacolare l’espansione globale dei giganti americani, anche a costo di innescare una guerra commerciale con Bruxelles.
Un nuovo ordine à la Trump
In questi dieci mesi, il presidente Trump ha adottato un approccio che gli conferisce un’ampia autorità nel plasmare le relazioni commerciali e diplomatiche secondo esigenze personali e politiche. La sua diplomazia assertiva e la crescente vicinanza all’élite della Silicon Valley segnalano l’emergere di un nuovo approccio – definito “capitalismo di Stato con caratteristiche americane” – che riflette un profondo riorientamento delle priorità nazionali.
Tuttavia, questa strategia coercitiva – che mira a bloccare le decisioni di paesi terzi quando incidono sugli interessi delle aziende americane – mina la fiducia reciproca tra partners e segnala un cambiamento nei rapporti di potere a livello geopolitico: l’intimidazione economica sostituisce la cooperazione come nuovo linguaggio della diplomazia.
