Il lato oscuro dei nuovi oligarchi digitali


Articolo tratto dal N. 51 di I nuovi oligarchi digitali Immagine copertina della newsletter

L’economia canaglia non è un incidente della storia: è una forza oscura che emerge ogni volta che la politica perde il controllo, quando le regole si dissolvono e il profitto rapido diventa l’unico obiettivo. Dopo il crollo del Muro di Berlino, mentre il mondo celebrava la democrazia e il libero mercato, milioni di persone cadevano nella nuova schiavitù moderna. Le mafie internazionali, le reti criminali transnazionali e i paradisi fiscali presero possesso dei mercati globali, mentre i consumatori occidentali si illudevano di vivere nel migliore dei mondi possibili. Era l’inizio di una globalizzazione senza regole, laboratorio perfetto per i banditi del nuovo millennio, dove la finanza si muoveva più rapidamente della legge e la politica restava impotente. 

Da questo brodo di coltura nasce il tecnocapitalismo. I suoi protagonisti – Musk, Bezos, Zuckerberg – non sono innovatori visionari, ma predoni sofisticati. Come i pirati dei mari del Sud o i contrabbandieri d’oro africani, hanno usato la tecnologia per aprirsi varchi nel caos normativo, costruire monopoli e appropriarsi delle nostre vite. Hanno trasformato i dati in miniere, i lavoratori in carne da gig economy, i cittadini in consumatori passivi. Ogni clic, ogni like, ogni acquisto diventa strumento di accumulazione di potere e ricchezza concentrata, mentre la narrativa pubblica racconta favole di progresso e innovazione democratica. I loro algoritmi, i brevetti e le piattaforme non servono alla comunità: servono a concentrare controllo e profitti nelle mani di pochi. 

Produttori di disuguaglianze 

Il loro potere si fonda su due inganni fondamentali. Il primo: convincerci che l’innovazione sia neutrale, inevitabile e persino benefica per tutti. Il secondo: spacciare come progresso ciò che in realtà è espropriazione. Uber ha smantellato regole e tutele storiche del lavoro; Amazon ha ridotto salari e diritti, riportando condizioni paragonabili a decenni fa; Meta ha manipolato relazioni sociali e attenzione, trasformando l’empatia e l’interazione umana in profitti pubblicitari. Ogni innovazione viene presentata come rivoluzionaria, mentre in realtà rafforza monopoli, disuguaglianze e vulnerabilità collettiva. Le start-up innovative vengono spesso acquisite o distrutte se non si piegano alla logica dei grandi predatori, annullando la concorrenza e l’inventiva. 

Intanto i Tecnotitani si proiettano nello spazio, come nuovi conquistadores, pronti a colonizzare risorse comuni e a privatizzare perfino i pianeti. Tutto questo accade mentre la Terra brucia, le disuguaglianze esplodono e i diritti si sgretolano sotto la pressione del mercato globale. La loro corsa non ha nulla a che vedere con il bene comune: è la logica canaglia ripetuta in chiave digitale, dove la tecnologia serve a concentrare ricchezza e potere nelle mani di pochi, ignorando le necessità della collettività. La sostenibilità ambientale, i diritti dei lavoratori e la coesione sociale diventano ostacoli da aggirare, non obiettivi da perseguire. 

Perché sono così pericolosi? Perché hanno scippato allo Stato la sovranità, alla politica la capacità di decidere e ai cittadini la libertà di scelta. Non controllano solo mercati e tecnologie: controllano l’immaginario collettivo. Sanno vendere sogni, miti di innovazione e progresso, mentre costruiscono nuove forme di schiavitù digitale. La narrativa pubblica li celebra come pionieri, ma dietro i riflettori operano come oligarchi, con regole proprie, al di sopra della legge, invisibili ma onnipotenti. Ogni cittadino diventa inconsapevole parte di un esperimento globale, dove la percezione della libertà nasconde una dipendenza economica e psicologica. 

Bene comune contro oligarchia digitale 

La lezione è chiara: senza regole condivise, senza un’alleanza concreta tra istituzioni, società civile e cittadini, il futuro non sarà nostro. Sarà il futuro dei banditi digitali, i nuovi oligarchi globali che decidono cosa possiamo sapere, comprare, sognare e persino desiderare. Recuperare il controllo della tecnologia non è un lusso o un’opzione: è l’unica via per difendere il bene comune, per riportare la politica al centro, per garantire che la crescita e l’innovazione servano la società e non solo i predoni del nuovo millennio. 

Solo così possiamo sperare di fermare questa economia canaglia travestita da progresso e trasformare il tecnocapitalismo da minaccia in opportunità reale per tutti. Ogni regolamentazione, ogni controllo democratico sui dati e sulle piattaforme, ogni iniziativa che ricrei equità e trasparenza, diventa uno strumento di sopravvivenza collettiva. La posta in gioco non è solo economica: è politica, sociale e morale. Il futuro appartiene a chi saprà difendere il bene comune contro i nuovi oligarchi digitali. 

Ricevi il numero completo di PUBBLICO nella tua casella di posta

Non sei ancora iscritto? Compila il form!