Se si guarda alla Milano degli ultimi quindici anni quello che balza subito agli occhi è la grande trasformazione che intere porzioni di città hanno subito, veicolando una nuova immagine molto trendy e internazionale. Milano, in particolare dopo l’Expo del 2015, è diventata per i media e la stampa internazionale a place to be. Tuttavia, se si guarda con maggiore attenzione, è possibile cogliere, oltre il luccichio, una trasformazione molto più rilevante e significativa di quella fatta di grattacieli più o meno futuristici che svettano sotto gli occhi di tutti.
Milano dopo Expo 2015
Per rendersene conto è sufficiente consultare i dati sul movimento dei residenti cittadini a partire dal 1880 che il servizio statistico del comune ha messo online. Cosa ci dicono queste cifre se si guarda al periodo 2014-2023, quello della preparazione dell’Expo e di tutto ciò che ne è seguito?
In primo luogo che la popolazione cittadina è cresciuta molto poco, circa 34.000 abitanti in un decennio. Questo non sorprende perché dal lontano 1975, ultimo anno in cui i nati in città sono stati più dei morti, la crescita di Milano è affidata ai movimenti migratori e al loro saldo più o meno positivo. Bene, la crescita certamente modesta della popolazione milanese nel decennio considerato è in realtà il risultato di un gigantesco ricambio della popolazione cittadina perché, a fronte di oltre 505.000 nuovi arrivi, si sono registrate quasi 400.000 partenze. Questo significa che quasi il 30% di chi risiedeva a Milano nel 2014 ha abbandonato la città, mentre oltre il 40% dei residenti del 2023 nel 2014 ancora non c’era.
È chiaro che movimenti così significativi possono cambiare profondamente la natura di una città perché molto dipende dalle caratteristiche di chi arriva e di chi se ne va. Nel caso di Milano è difficile evitare l’impressione che si sia assistito, anche in relazione agli sgravi fiscali accordati ai paperoni stranieri che prendono la residenza, a un arrivo di individui con notevoli capacità di spesa e alla partenza di chi invece faceva sempre più fatica a stare in una città che ha visto crescere i suoi prezzi a una velocità ancora maggiore rispetto a quella del suo standing internazionale. Al punto che oggi Milano è una delle città più care al mondo ma è collocata in una realtà dove i salari e gli stipendi sono quelli italiani, che non brillano certo per la loro entità.
Più ultraricchi in città
Ancora una volta ci viene in soccorso il sito statistico del Comune con i dati sui redditi delle persone fisiche che, se non altro, forniscono un approssimativo ordine di grandezza, per quanto sottostimato. Anche restando sul semplice piano delle dichiarazioni dei redditi individuali (senza tenere quindi conto dei patrimoni immobiliari e finanziari e delle società) si scopre infatti che quanti dichiaravano più di 120.000 euro all’anno erano nel 2014 28.780 per un ammontare complessivo di oltre otto miliardi di euro. Nel 2023 erano diventati 45.952 con quasi 13,5 miliardi di imponibile e la dichiarazione media pro capite era passata da 282.000 a 291.000 euro.
Ma i dati diventano ancora più eloquenti se si analizzano in chiave comparativa. Se consideriamo appartenenti alla classe media gli individui con un reddito tra i 26.000 e i 55.000 euro si nota che, pur essendo ben 313.650 (la fascia più ampia di contribuenti), superano di poco con le loro dichiarazioni gli 11,5 miliardi di euro. Ancora più preoccupante, a conferma delle difficoltà creata da prezzi ormai insostenibili, è il fatto che i contribuenti nella fascia tra i 15.000 e i 26.000 euro siano passati nei dieci anni considerati da 253.601 a 219.707.
Disuguaglianze e divario sociale
Sono tutti segnali di una città dove gli spostamenti della popolazione stanno creando una situazione caratterizzata da un divario e una polarizzazione sempre più stridenti e dove è facile trovare articoli che celebrano il fatto che ormai Milano ospita oltre 100.000 milionari, ovviamente in euro. Ma se una quota crescente di popolazione fa fatica ad arrivare a fine mese ed è a rischio espulsione, mentre un’altra, che si ingrossa giorno dopo giorno, può permettersi di spendere decine di migliaia di euro all’anno solo per mandare i figli a studiare in scuole più o meno esclusive, l’erosione delle fondamenta della convivenza è inevitabile. L’impressione, se si guarda a Milano, è quella di una città attraversata da tensioni sempre più profonde dove le gesta dei maranza rappresentano solo la punta dell’iceberg di una realtà dove, pur non mancando significative eccezioni, si sono rarefatti i luoghi di aggregazione e di elaborazione di una progettualità condivisa.
La spia più preoccupante di una situazione senza precedenti è l’indebolimento dell’élite che aveva guidato lo sviluppo di Milano. Da sempre aperta all’apporto di nuovi membri provenienti dall’esterno, la classe dirigente milanese ha vissuto per secoli in larga misura nel centro della città orientando la vita politica, economica e sociale urbana. Suoi luoghi d’incontro, di discussione e di mediazione erano i Consigli comunali, gli organi direttivi della Camera di commercio e le associazioni professionali, ma anche strutture informali quali i “salotti”, attivi fin dall’Ottocento, i locali, i teatri e la grande rete della filantropia privata che tuttora alimenta il welfare urbano. Senza dimenticare il grande ruolo svolto dalle scuole e in particolare dai licei. Era un’élite che trovava nella stampa milanese (in particolare nel Corriere della Sera) il proprio punto di riferimento e che aveva espresso buona parte di una classe politica locale in grado di sperimentare e aprire a nuove soluzioni.
Oggi la situazione è assai diversa. Molti dei figli delle famiglie da cui negli ultimi decenni era uscita la classe dirigente della città lasciano Milano per studiare, vivere e fare carriera all’estero, mentre i nuovi residenti ad alto reddito rimangono lontani dai luoghi in cui si rinnovano le reti tradizionali dell’élite cittadina. Attirati dai servizi della città e dalla sua accresciuta reputazione internazionale arrivano a Milano dal resto d’Italia e da oltre confine per motivi di studio o di lavoro e, anche quando non si fermano per un tempo limitato, tendono comunque a disperdersi in aree più verdi, più accessibili o meno congestionate.
I rischi dei nuovi poli del lusso
I nuovi poli residenziali di lusso sorti al di fuori dei bastioni – Porta Nuova, City Life – entrano così in concorrenza con il centro ma non gli subentrano nelle tradizionali funzioni di sociabilità perché gli stranieri e i nuovi ricchi che arrivano a Milano, insieme con gli investimenti esteri, non entrano più a far parte dell’élite locale, come avveniva in passato, e tendono a rimanere estranei alla vita cittadina. Mentre paradossalmente i residenti “storici”, che hanno dato un significativo contributo a rendere Milano la città che era fino a ieri l’altro, sono quelli a maggior rischio di espulsione e vengono considerati dai nuovi ricchi, che in gran parte utilizzano la città senza viverla, come dei fastidiosi relitti del passato. Ci sono concreti rischi che la metamorfosi della città, avviatasi con la stagione della “Milano da bere” e poi acceleratasi con il nuovo millennio, finisca per sfociare in un grande luna park per ricchi.
Ma se il centro non è più il luogo dove si costruisce il consenso sui programmi di sviluppo della città, dove si esercita oggi la governance di Milano? Come si possono contrastare i crescenti squilibri, abitativi e di reddito? Chi sarà in grado di mettersi alla testa di questo processo, creando il consenso e le condizioni necessarie? Dare una convincente risposta a questa domande è essenziale per il futuro di Milano.
