“Utopia never comes, because we know we should not like it if it did.”
Margaret Thatcher, Bruges, 20 Settembre 1988
Voice, Loyalty, Exit
Per Albert Hirschman, nelle organizzazioni complesse si possono esercitare “voice” (richiesta di riforme), “loyalty” (lealtà) o “exit” (uscita). A quasi dieci anni dal referendum che sancì l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il rischio di ulteriori “exit” rimane persistente. Sebbene l’esito disastroso della Brexit sembri aver attenuato tali spinte, uno scetticismo, se non una aperta ostilità, verso l’UE caratterizza le ondate sovraniste in crescita elettorale in Europa.
Il Regno Unito entrò “in ritardo” nella Comunità Europea rispetto ai fondatori, nel 1973. Il suo rapporto con l’Unione, sia per i Tory che per i Labour, fu raramente idilliaco, forse più un matrimonio d’interesse. L’ascesa dell’UKIP di Nigel Farage, che superò i partiti tradizionali alle elezioni europee del 2014, portò David Cameron a temere di essere marginalizzato politicamente, sia internamente sia esternamente. La fine dell’esperienza britannica nell’UE può quindi interpretarsi anche come una vicenda di sopravvivenza politica personale a scapito di un progetto politico. Tuttavia, Cameron non è sopravvissuto politicamente e il progetto conservatore non sembra godere di ottima salute. Allo stesso modo, si potrebbe osservare che anche il partito laburista appare in una condizione cagionevole. Nel frattempo, la retorica anti-establishment e l’imprenditorialismo politico di destra di Farage hanno scombussolato il bipolarismo britannico.
Ma gli argomenti contro l’UE nascevano da molto prima. L’ipotesi di fondo è che lo spazio e il vocabolario politico sulla questione europea nel Regno Unito siano stati definiti da Margaret Thatcher. E le sue idee, parole ed argomentazioni hanno trovato riscontro anche in leader e partiti continentali oggi. Pertanto, è necessario risalire oltre recenti figure politiche britanniche come David Cameron, artefice della Brexit, Boris Johnson, camaleonte amorale, oppure Jeremy Corbyn, moderato solo sull’ europeismo, e l’attuale leader laburista Keir Starmer, che non considera prioritario un rientro in Europa.
È stato sostenuto che “l’azione individuale e l’eredità della Lady di Ferro, amplificate da una serie di contingenze, abbiano generato le dinamiche fondamentali che hanno inasprito così amaramente i legami della Gran Bretagna con l’Europa.” Anche i suoi ex-collaboratori retrospettivamente hanno visto in lei “un ruolo cruciale nel mettere il Regno Unito sulla strada della Brexit”.
There Is No Alternative
Spostando lo sguarda dalla exit britannica, si può osservare che i temi e le parole della Thatcher hanno influenzato l’euroscetticismo di oggi ma, paradossalmente, anche la possibilità della via europeista. Il suo discorso di Bruges è esemplare: la nascita dell’Europa non può essere fatta risalire unicamente al Trattato di Roma del 1957 – le istituzioni comunitarie sono solo un elemento all’interno di una più ampia trama storica– l’Europa è un’entità secolare e “Cristianità” è stata per lungo tempo sinonimo di “Europa”. Dunque, la “Comunità europea è una manifestazione di questa identità europea, ma non è l’unica”. Thatcher apriva alla possibilità di altre relazioni, altre istituzioni e alla potenziale riforma, smantellamento o riorganizzazione del progetto europeo. Nel discorso fu molto esplicita sui suoi principi guida: “una cooperazione attiva e volontaria tra Stati sovrani indipendenti” come il modo migliore per costruire una Comunità europea di successo. Altri principi guida erano la necessità di politiche comunitarie che incoraggiassero l’imprenditorialità, poiché per lei la società di per sé non esisteva. Inoltre, l’Europa non doveva essere protezionista, anche perché, il neoliberalismo era l’unica via, poiché non c’era alcuna alternativa (There Is No Alternative, TINA). Mise al centro il tema della deregulation anche nell’agenda Europea: “agire per liberare i mercati, agire per ampliare la scelta, agire per ridurre l’intervento pubblico. Il nostro obiettivo[…] dovrebbe essere la deregolamentazione e la rimozione dei vincoli al commercio.”
Il topos del megastato, della sovranità violata, dei sacrifici nazionali vani per sottostare al giogo del conglomerato europeo divennero chiarissimi: “Non abbiamo ridimensionato i confini dello Stato in Gran Bretagna, solo per poi poterli vedere reimposti a livello europeo con un superstato europeo che esercita un nuovo dominio da Bruxelles.” Dunque, l’unico progetto possibile per lei era una “famiglia di nazioni”, o come detto da voci italiane della destra di oggi: una “Europa delle patrie”.
Margaret Thatcher fu cristallina nel definire quale sarebbe stata per lei un’Europa da incubo. Il problema sembra essere oggi arduo definirne quale sia l’utopia Europea a cui tendere. Forse perché proprio si tende a limitare l’agire e il pensare politicamente in relazione alle idee e il vocabolario euroscettico di matrice Thatcheriana. La forza delle idee non è commensurabile, ma i progetti politici hanno bisogno di un vocabolario adatto. Come scritto recentemente da Perry Anderson : “le idee che non sono in grado di scioccare il mondo non sono in grado di scuoterlo”.