Primo Maggio di Resistenza

approfondimento


Articolo tratto dal N. 31 di Il futuro è di chi lotta Immagine copertina della newsletter
Pubblichiamo un estratto del libro Primo Maggio (Il Mulino, 2025), a cura di Stefano Gallo, per gentile concessione dell’autore e dell’Editore che ringraziamo

Il piano del CLNAI per la liberazione del Nord Italia venne lanciato da Milano il 25 aprile 1945.
Nei territori a sud della Linea gotica già si era discusso su come si sarebbe dovuto celebrare l’ultimo Primo maggio di guerra. Fu il socialista Oreste Lizzadri, durante il direttivo della CGIL di inizio aprile, a mettere nero su bianco una linea che sarebbe poi rimasta il riferimento fino a oggi: «questa data dovrà essere l’esaltazione [de]ll’unità sindacale; dovranno essere fatte delle manifestazioni da parte delle Camere del Lavoro; i Partiti non interverranno, come tali, in quanto il 1° maggio sarà la celebrazione della Festa del lavoro, e come tale è solo la CGIL che deve essere la promotrice».

L’esclusività sindacale nel celebrare la festa era una scelta legata soprattutto alla ricerca di unità tra tutte le componenti antifasciste, in particolare con i cattolici: il sindacato unitario doveva essere il luogo della collaborazione per eccellenza, a significare l’importanza e l’autonomia dell’organizzazione dei lavoratori nel nuovo ordinamento democratico. L’indicazione non venne subito raccolta a Milano, dove la celebrazione si allacciò in maniera immediata alla Resistenza e all’omaggio ai suoi morti: il 1° maggio 1945, trentotto bare furono collocate davanti al Palazzo dei Sindacati di corso di Porta Vittoria, da poco trasformato nella nuova Camera del lavoro.

Il primo grande assembramento della giornata avvenne dunque lì, in un’unione simbolica tra la sede dei lavoratori e il sacrificio per la liberazione del paese. Nel pomeriggio, poi, vari cortei provenienti dai quartieri operai, insieme a «lunghe colonne di camion e automobili gremite di partigiani», confluirono nella centralissima piazza del Duomo.
Da qui, la massa si spostò in piazzale Sempione, dove all’Arco della Pace si tenne il comizio dei componenti politici del CLNAI: Achille Magni, Sandro Pertini, Achille Marazza, Leo Valiani, Ernesto Cattaneo, Luigi Longo.

A Roma, fu intorno alla figura carismatica di Giuseppe Di Vittorio che si celebrò la festa: in una piazza del Popolo gremita, nello sventolio di bandiere rosse, tricolori e bianche, a significare l’unità delle forze antifasciste, il segretario generale della CGIL legò i temi del lavoro alla necessità di un radicale rinnovamento delle istituzioni e della società del paese.

Copertina del libro Primo Maggio (Il Mulino, 2025), a cura di Stefano Gallo

ll Primo maggio divenne una festa ufficiale (e retribuita) anche in Italia (…). Nel frattempo, il Primo maggio completava il suo processo di globalizzazione: tra anni Cinquanta e Sessanta penetrò anche nei paesi centro-africani e asiatici dove prima non era mai stato celebrato, diventando gradualmente un simbolo condiviso del contributo dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali all’indipendenza e al processo di decolonizzazione.
Non da tutti: in Indonesia, ad esempio, il regime anticomunista di Suharto lo proibì dal 1966.

Allo stesso tempo, e specularmente, le lotte di liberazione entravano a far parte del repertorio degli slogan dei cortei del Primo maggio, in particolare nei paesi dove più radicata era la tradizione della festa, che spesso erano – o erano stati – paesi coloniali.
Nel corteo del Primo maggio 1967 di Milano, ad esempio, insieme a un «Lavoratori di tutti i paesi unitevi», sfilavano striscioni con scritto «W la pace. Via gli USA dal Vietnam», «Solidarietà con i popoli del Terzo Mondo».
Il tema della pace, già entrato a fine Ottocento e poi recuperato con le proteste contro l’ingresso dell’Italia nella NATO a partire dal 10 maggio 1949, acquisiva ora una sfumatura nuova.

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