Nel senso comune non stupisce che il controllo sulle istituzioni culturali che conservano patrimoni, tipicamente archivi, biblioteche e collezioni museali, sia più stringente nei paesi dove la democrazia è in pericolo o del tutto assente; tuttavia, alcuni fenomeni occorsi recentemente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, storicamente e nominalmente presìdi della democrazia, dimostrano che gli anticorpi hanno perso di efficacia.
Gli attacchi alla British Library e Internet Archive
A complicare il quadro, e ad aggravare una sensazione di incertezza, hanno contribuito due clamorosi cyber-attacks che hanno colpito nell’ottobre 2023 la British Library di Londra, la maggiore biblioteca della Gran Bretagna, e un anno dopo Internet Archive, il più grande archivio digitale del mondo, dal 1996 punto di riferimento per accedere gratuitamente a miliardi di oggetti digitali (libri, audiovisivi, musica, siti web) con sede a San Francisco.
Senza entrare nei dettagli tecnici, va ricordato che l’attacco alla British Library ha sottratto 600 GB di files che includevano i dati personali dei dipendenti della biblioteca e degli utenti registrati. Respinta la richiesta di riscatto, i dati sono stati riversati, ricavandone profitto, nel Dark Web. Oltre a questa gravissima intrusione nella privacy, ci sono voluti mesi perché gli strumenti del sito e della biblioteca riacquistassero la piena funzionalità, costringendo la British Library ad aggiornare i propri sistemi per renderli più sicuri.
È il fondatore di Internet Archive, Brewster Kahle, a scrivere in tempo reale nell’ottobre 2024 che la piattaforma «si sta adattando a un mondo più ostile, in cui gli attacchi DDoS [Distributed Denial of Services] si verificano periodicamente (come ieri e oggi), e potrebbero verificarsi attacchi ancora più gravi». Naturalmente difese più efficaci e software più performanti comportano investimenti sempre maggiori, e non sempre è possibile, soprattutto per le istituzioni meno solide, attingere a risorse straordinarie. Gli effetti dell’attacco su Internet Archive hanno provocato il furto dei dati di 31 milioni di utenti, oltre al malfunzionamento del sito.
Per rimanere negli Stati Uniti, negare l’accesso agli strumenti di ricerca come nel caso dei cyber-attacks non è la sola modalità per impedire l’accesso alle fonti e quindi la circolazione delle idee: l’American Library Association (ALA) ha documentato nel 2024 grazie alle rilevazioni del proprio Office for Intellectual Freedom che tra i 821 tentativi di censura ben il 72% erano in capo a gruppi di pressione, dirigenti delle biblioteche e rappresentanti governativi, a fronte del 16% provenienti dai genitori. Le richieste di censurare alcune opere disponibili nelle biblioteche, destinate in particolare ai bambini o ai giovani, venivano inoltrate nel 93% dei casi presso le biblioteche pubbliche e quelle scolastiche.
La censura generalizzata e “selettiva”
Un tratto comune con le biblioteche dall’altra parte dell’oceano si è manifestato nel 2024 con un caso di censura generalizzata in Gran Bretagna, dove agli addetti alle biblioteche scolastiche è stato chiesto di togliere dagli scaffali tutti i volumi che trattavano temi legati alla comunità LGBT+, i manga ritenuti troppo sessuati, ma anche certa young adult fiction valutata inadatta alla lettura dei giovani. In alcuni casi i bibliotecari che si sono rifiutati di ottemperare alle richieste provenienti dalle famiglie degli studenti sono stati costretti alle dimissioni.
È proprio in relazione a un caso di censura per l’allestimento di una mostra celebrativa alla National Library of Scotland, oggetto di contestazioni per l’impostazione e i materiali selezionati per l’esposizione, che risuona un monito condivisibile: «abbiamo bisogno di spazio per il disagio, per il dissenso e, soprattutto, per l’empatia. È così che crescono le democrazie – non nascondendo i libri, ma leggendoli, discutendoli e comprendendo perché sono importanti».
Ritenere che il ruolo e la funzione sociale di archivisti e bibliotecari sia neutrale, o puramente tecnico, è un fraintendimento piuttosto diffuso, e depotenzia un attore strategico non solo nella trasmissione della conoscenza, ma nella creazione di un ecosistema proprio grazie alla mediazione di chi decide cosa mettere a disposizione (ovvero quali fondi archivistici inventariare e pubblicare, quali volumi o periodici acquistare e catalogare, quali modalità di prestito adottare).
La funzione curatoriale si è sempre basata sulla convinzione che archivisti e bibliotecari potessero adottare, in particolare per le biblioteche di pubblica lettura, strategie di approvvigionamento con l’osservazione della produzione libraria per una selezione ritenuta compatibile sia con la domanda della propria comunità, in primis quella locale, sia con i budget sempre più risicati. Questo scenario sembra essere entrato in crisi negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia.
