La libertà riconquistata

approfondimento


Articolo tratto dal N. 30 di L'alba del giorno dopo Immagine copertina della newsletter

Oltre la retorica

Oggi è il 26 aprile. È un giorno che non chiede applausi, ma attenzione. Non esige bandiere, ma cura. Non promette nulla, ma invita a ricominciare. Nel giorno dopo la Liberazione, la città è un laboratorio politico, sociale, umano. Ogni gesto di partecipazione è un’eredità raccolta. Ogni nuova forma di attivismo — ecologista, transfemminista, antirazzista, mutualistico — è un modo per rilanciare quella promessa fatta ottant’anni fa: mai più oppressione, mai più indifferenza.

Il 25 aprile non è mai un giorno qualsiasi, non per noi. E soprattutto non è mai la fine di un percorso, ma un inizio. O, se preferite, la conferma di una scelta, di un impegno che guarda al futuro. È, ogni anno da ottant’anni, il giorno in cui celebriamo la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, dall’occupazione straniera e dal buio ventennio che ha portato morte, oppressione e miseria. Grazie alla lotta delle partigiane e dei partigiani, ci siamo liberati. Ed è da lì che si parte, ogni volta. Perché senza memoria non si costruisce nessun domani. A cominciare da quello immediato.

Oggi, più che mai, ne abbiamo bisogno. Perché l’avversario ha cambiato volto, ma resta presente. È il mondo che ci raccontano essere senza alternative, quello di TINA – There Is No Alternative – come ci ricorda Luciana Castellina. Un mondo segnato da guerre permanenti, disuguaglianze crescenti, solitudini diffuse e spazi pubblici sempre più erosi. Un mondo dove lo spazio politico viene usato per smantellare il senso stesso di collettività.

Liberismo ed individualità

Le radici di questa deriva sono profonde. Negli anni Ottanta, Margaret Thatcher proclamava: “Non esiste la società, esistono gli individui.” Un mantra che ha plasmato il pensiero neoliberista fino a oggi, trasformando la politica in gestione, la cittadinanza in consumo, la partecipazione in algoritmo. Ma possiamo davvero limitarci a celebrare il 25 aprile se poi, il giorno dopo, torniamo alla paura, alla chiusura, alla rassegnazione?  No, non possiamo. Perché il liberismo, per funzionare, ha bisogno che restiamo chiusi in casa, incollati a mille schermi, soli. Che smettiamo di guardarci negli occhi, di condividere spazi, di costruire alternative. Che ci riconosciamo solo tra simili, dentro bolle autoreferenziali, anestetizzati al conflitto sociale, alla solidarietà, alla giustizia.

Cittadinanza attiva e antifascismo

Ed è qui che si colloca il nostro ruolo. Come associazione culturale popolare che fa politica, come corpo intermedio previsto dalla Costituzione, come comunità che pratica quotidianamente cittadinanza attiva. Su questa faglia ci muoviamo ogni giorno, costruendo prossimità, relazioni, attenzione. Contrastando l’individualismo con legami veri. Svelando – nel piccolo come nel grande – la truffa sociale e culturale che ci viene imposta. Guardando avanti, con senso critico e ostinazione. Questo è il nostro lavoro di rammendo e di cura. È ciò che facciamo, ovunque siamo: nei circoli, nei quartieri, nei progetti sociali, nei salvataggi in mare, nei concerti, nelle serate di approfondimento. Tutto ciò ha un unico grande obiettivo: rendere l’antifascismo una pratica concreta, giusta, necessaria. Perché solo così possiamo costruire una società più giusta, più libera, più umana. Una società dove la democrazia non sia ridotta alla sola libertà individuale, come ci hanno raccontato per decenni, ma si fondi sulle tre parole inscindibili che la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza, ci consegna: libertà, giustizia sociale, solidarietà. È questo l’antidoto all’odio, alla guerra, all’oppressione. Ed è, soprattutto, la strada per l’emancipazione: una parola antica, sì, ma ancora viva. E per noi, carica di senso.

Rinnovare la lotta per coltivare la realtà

Il nostro antifascismo lo celebriamo così: continuando a studiare, organizzarci, prenderci cura delle persone e dei luoghi, tessere relazioni e immaginare futuri. Con lo sguardo aperto sul mondo, ma con i piedi ben piantati nei territori in cui viviamo. Perché l’Arci non è un’associazione di operatori sociali. È una comunità di cittadine e cittadini che hanno scelto di esserci. Di lottare, insieme.

Forse la vera festa della Liberazione è proprio oggi: quando cominciamo di nuovo a prenderci cura della libertà.

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