La “guerra civile” della nuova estrema destra occidentale


Articolo tratto dal N. 56 di Il ritorno del re Immagine copertina della newsletter

Gli anni Dieci del Duemila sono stati il “decennio populista”. Ora siamo entrati in una fase nuova, quella del decennio della “guerra civile occidentale” (mediatico-digitale e a bassa intensità). È negli Usa che la fusione fra conservatorismo e populismo ha raggiunto la sua forma compiutamente post-liberale, tracciando un solco che gli attori politici europei e globali stanno osservando e imitando (ognuno secondo vincoli e specificità di contesto). La fase populista è stata una reazione alla crisi delle élite del Washington Consensus, ed è stata una rivolta contro gli esiti della globalizzazione neo-liberale, detonata dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Quella crisi ha esposto il volto oscuro di un modello che ha creato una “geografia del declino” – reale o percepita, poco importa – che ha scosso la classe media occidentale e infiammato alcuni segmenti delle classi popolari, alimentando una profonda sfiducia verso tutte le istituzioni (producendo una vasta gamma di sentimenti, dalla rabbia all’apatia, passando per la nostalgia).  

Gli imprenditori politici che hanno alimentato questa rivolta, oggi, sono classe dirigente consolidata: negli USA hanno avuto quattro anni, dal 2020 al 2024, per re-immaginare la presa del potere. La vecchia coalizione repubblicana – “libero-mercatisti”, neoconservatori, destra religiosa – è stata fagocitata da un movimento che unisce la base a una nuova élite l’alleanza tra “attivisti dal basso e management dall’alto che Theda Skocpol aveva descritto parlando del Tea Party, il movimento precursore di questa trasformazione. Questo approdo può essere definito come “nazional-capitalismo” (la definizione è dell’economista Roberto Tamborini). Un capitalismo clientelare, quello di Trump, in cui scompare l’idea del mercato come orizzonte globale e ricompare “l’interesse nazionale” come motore delle politiche economiche e monetarie, in un quadro di offerta politica interclassista che promette benefici materiali (sicurezza economica e sociale) e immateriali (difesa dell’identità culturale e religiosa). L’attuazione della volontà popolare passa dall’esercizio personalistico della leadership istituzionale – Trump è il garante del nuovo patto sociale – in uno schema che implica il superamento dei freni posti dai contro-poteri (magistratura, opposizione, Congresso, istituzioni locali e burocrazie federali). Con un elemento di rottura rispetto al 2016: il semaforo verde acceso dall’alta finanza e dalle grandi corporation, che accettano il gioco trumpiano del capitalismo clientelare. 

Questa nuova destra non si limita a governare: combatte una “guerra civile”, a bassa intensità ma permanente, con metodi precisi. Il primo è la guerra informativa asimmetrica. La destra usa tattiche di guerriglia mediatica: la realtà trumpiana nasce sui social, viene amplificata da attori terzi (gli influencer), e infine consacrata dalle tv generaliste come Fox. L’obiettivo non è la verità, ma la competizione per l’attenzione attraverso la viralità, in un ecosistema che si fonda sulla sfiducia pregressa del pubblico verso i media tradizionali. 

Il manuale dell’autocrate 

Il secondo metodo è l’applicazione del “manuale dell’autocrate”: come descritto da Levitsky e Ziblatt, le autocrazie contemporanee non rovesciano regimi e non sospendono costituzioni, ma praticano un “autoritarismo competitivo”. Vincono le elezioni e poi “trasformano le istituzioni dello Stato in armi politiche”, di parte, con le quali assumere un vantaggio competitivo sull’avversario (una contro-occupazione dello stato: la Vandea si riprende la Bastiglia). Infine, usano strumenti apparentemente legali cause per diffamazione, ispezioni fiscali, inchieste giudiziarie per punire gli oppositori.  

L’evocazione del nemico interno è un altro mantra della guerra civile a bassa intensità, in una modalità che viene ripresa anche dalle destre europee, grandi consumatrici di simboli trumpiani (pensiamo, recentemente, all’incredibile esportazione del martirio di Kirk nel mondo). Di fronte a questa strategia egemonica, il fronte opposto appare ancora impreparato. L’appello alla difesa della democrazia che in Europa si traduce spesso in grandi coalizioni e blocchi repubblicani non sembra più bastare a contrastare una forza che ha saldato gli interessi dei nuovi oligarchi al risentimento delle masse post-globalizzate.  

Il tempo ci dirà se, dagli USA all’Europa, qualcuno saprà trovare nuove strategie e nuove tecniche non-violente adatte a fronteggiare la rivoluzione permanente della destra: le grandi manifestazioni sono un ottimo punto di partenza, ma il repertorio di strumenti non convenzionali dovrà per forza espandersi 

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