La democrazia si legge


Articolo tratto dal N. 55 di Le mani sulla cultura (a volte censurano) Immagine copertina della newsletter

La democrazia è una scatola cinese: un insieme di regole che contengono istituzioni che contengono cittadini. Ma dovrei aggiungere regole condivise, istituzioni riconosciute, cittadini informati. A me sembra che la crisi della democrazia cominci da qui, da lato più interno e intimo della scatola. Senza cittadini in grado di conoscere per scegliere, decidere, deliberare l’involucro diventa inutile.

Una scatola vuota, appunto. Per questo il sapere, la conoscenza, l’informazione (chiamiamolo come vogliamo quel nodo di spazi e attività che ci consentono appunto di essere cittadini consapevoli e non eterodiretti) sono il terreno di scontro principale delle guerre culturali in corso. Non solo dal punto di vista del potere e delle proprietà ma soprattutto da quello dei contenuti e dei linguaggi. Non starò qui a ripercorrere la catena di eventi e trasformazioni che ha reso così pervasiva la capacità di falsificazione dei fatti e così efficienti le piattaforme di manipolazione delle opinioni pubbliche. È più urgente occuparsi degli antidoti.  

Il ruolo dei libri e dei media nella formazione democratica

Come ricostruire uno spazio per il dibattito pubblico che alimenti i processi democratici, la loro capacità di creare insieme consenso, partecipazione, progresso? Che ruolo possono (ancora) avere media e attività come l’editoria e il giornalismo? È inutile nascondere questa evidente difficoltà: libri e giornali, i supporti che hanno costituito l’opinione pubblica informata dell’epoca d’oro delle democrazie, sono enormemente meno riconosciuti in questa loro necessità.

Ma mentre penso che non ha nessun senso (e non avrebbe comunque alcun risultato) contrapporre un libro ad altri frammenti dell’universo mediatico e informativo contemporanea, penso che la loro specificità abbia oggi una funzione/utilità invece decisiva.

C’è infatti nei libri qualcosa di opposto e di polemico rispetto alle degenerazioni della comunicazione contemporanea che mi sembra trasparente perfino se ci si ferma alla più banale definizione dei generi editoriali: cosa sono i romanzi, cosa è la narrativa se non il campo di storie individuali e complesse, che più che alle verità generali, arroganti e compatte, guardano alle singole verità e alle loro relazioni? cosa sono i saggi se non il campo (e il tempo, verrebbe da dire) della profondità, dell’attenzione che si prolunga?

Cultura, emozioni e resistenza civile

Spero sia perdonabile l’evidente schematismo e l’apparente ingenuità di questa interpretazione. Ma davvero penso che per esempio sia l’addestramento a riconoscere e accettare più vite nella loro particolarità ad insegnarci l’attenzione ai valori più universali – per esempio l’importanza di ogni singola, esistenza al di là di ogni sua connotazione, la necessità di difendere i suoi diritti, di salvarla dallo sterminio delle guerre ma anche dalla schiavitù delle economie e delle ideologie; o l’aspirazione alla libertà e alla felicità di tutte e tutti, non solo di quelli più simili e vicini. Immaginiamo una critica più radicale delle cosiddette democrazie identitarie (che in quanto tali è peraltro destino smettano prima o poi, di essere democrazie)?

Altro esempio: viviamo una società che mobilita continuamene i nostri sentimenti, siamo bersaglio di macchine della manipolazione che agiscono potentemente sulle nostre emozioni. Come educarle, cioè trarle fuori dall’asservimento? Come gestire le paure che un tempo di trasformazioni inedite e veloci inevitabilmente propaga? Come sfuggire la tenaglia, fatta da un lato di indifferenza, dall’altro di fanatismo, che pare soffocare la discussione pubblica? Ecco un’altra prova fondamentale del nostro tempo: elaborare emozioni complesse e stringenti perché diventino una risorsa collettiva di partecipazione e non radice di polarizzazione.

Da questo puto di vista sarà molto interessante osservare se e come crescerà il grande movimento di mobilitazione che si è quasi improvvisamente acceso in Italia e altrove durante i massacri di Gaza, se contraddirà la sentenza di apatia che era sta emessa in particolare nei confronti delle giovani generazioni, se riuscirà ad allargarsi e combattere altre oppressioni e altre guerre. 

Se i libri e la lettura possono rispondere anche solo parzialmente alla funzione che immagino, diventa evidente il loro carattere di opposizione a valori potenti come i nazionalismi, i suprematismi, i sovranismi.

E infatti in tutto il campo della cultura la politica delle destre mondiali pare rispondere a una doppia strategia: una volontà di appropriazione (con la sempre penosa ambizione all’egemonia) e una pulsione di distruzione, come si trattasse di un campo nemico.

È una sfida di cui stiamo intravvedendo solo i primi movimenti. Ma che dimostra bene come difendere tutto il mondo del libro, tutta quella che viene definita la sua filiera sia una battaglia non solo culturale, ma civile, essenzialmente politica. 

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