Per un’informazione digitale trasparente e pluralista


Articolo tratto dal N. 59 di L'ultimo numero: dentro la crisi dell'informazione Immagine copertina della newsletter

La rivoluzione digitale ha riaperto il noto dilemma della duplice natura del progresso tecnologico, oscillante tra emancipazione e controllo, innovazione e rischi sistemici. Nel settore dei media, questa tensione è particolarmente evidente: le stesse tecnologie che hanno democratizzato l’accesso all’informazione e favorito la partecipazione civica stanno anche alterando gli equilibri dell’ecosistema informativo, minando l’integrità del dibattito pubblico e la tenuta delle istituzioni democratiche.

Innovazione, partecipazione civica e disinformazione 

L’uso generalizzato dei social media, sostenuto da infrastrutture di intelligenza artificiale basate su algoritmi di raccomandazione e personalizzazione, ha reso possibile una circolazione senza precedenti di idee, valori e pratiche culturali, aprendo spazi inediti per il dibattito pubblico e l’azione collettiva.

Attraverso piattaforme come Facebook e Twitter, movimenti come le primavere arabe, Black Lives Matter e #MeToo hanno dimostrato il potenziale emancipatorio del digitale nel mobilitare cittadini e diffondere istanze di giustizia sociale. Tuttavia, lo stesso ecosistema ha anche aperto la strada a nuove forme di manipolazione, polarizzazione e controllo dell’informazione. 

L’allargarsi del divario digitale ha accentuato le disuguaglianze e consolidato la supremazia di modelli culturali globali a scapito delle identità locali.

Le piattaforme digitali dominanti, orientate da logiche di profitto più che da finalità di interesse pubblico, hanno contribuito a questo processo di omogeneizzazione culturale, privilegiando la diffusione di contenuti fortemente emotivi e polarizzanti, capaci di catturare l’attenzione e generare introiti pubblicitari: un’economia dell’attenzione che riduce la visibilità delle fonti giornalistiche, alimenta la disinformazione e deteriora la qualità del discorso democratico. 

Parallelamente, la drastica riduzione dei costi di produzione e diffusione dei contenuti digitali ha reso più facile l’intervento di attori statali e non statali nella sfera informativa. Motivati da finalità politiche, economiche o ideologiche, questi soggetti ricorrono spesso a tecniche manipolatorie che sarebbero state inconcepibili nell’era analogica.

In un contesto di crescente tensione geopolitica, numerose inchieste open source hanno documentato il ruolo di paesi come Russia, Cina e Iran nella conduzione di sofisticate operazioni d’influenza, come Doppelgänger, Portal Kombat, Storm 1516 e Paperwall. Per amplificare la diffusione di propaganda ostile su scala transnazionale, queste campagne combinano falsi account e bot, siti giornalistici clonati, furti d’identità e la collaborazione di ciber-mercenari e influencer. Gli effetti non si limitano all’informazione, ma si estendono ai processi elettorali e alla fiducia nelle istituzioni democratiche, come dimostrano i casi recenti d’interferenza russa nelle elezioni in Romania, Georgia e Moldavia.

L’AI generativa: un cambio di paradigma per i media 

L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa segna un ulteriore punto di svolta. I grandi modelli linguistici (LLM), alla base di strumenti come ChatGPT e DALL·E di OpenAI, consentono di produrre in tempo reale testi, immagini, video e suoni altamente realistici, inaugurando una nuova era della manipolazione informativa.

Poiché questi modelli si basano su dati storici processati in base a mere ricorrenze statistiche, essi tendono a riprodurre pregiudizi e a ridurre la diversità di pensiero, minacciando la vitalità del pluralismo democratico.

Inoltre, la facilità con cui i contenuti sintetici saturano l’ambiente digitale rende sempre più difficile distinguere il vero dal falso, la satira dalla menzogna. Deepfake, video manipolati, meme e propaganda automatizzata hanno già influenzato campagne elettorali in Stati Uniti, Regno Unito, Slovacchia, Turchia e Argentina, una “guerra memetica” che sfrutta bias cognitivi e vulnerabilità psicologiche, diffondendosi con una rapidità superiore alla capacità di risposta dei fact-checker. 

Si delinea così un cambio di paradigma: l’uso strategico dell’IA generativa da parte di regimi autoritari e attori malevoli rischia di travolgere un ecosistema informativo già fragile, minando alla radice la possibilità stessa di un dibattito pubblico fondato su verità, fiducia e trasparenza.

Verso una governance democratica dell’informazione digitale 

In questo scenario, le frontiere tra verità e menzogna, informazione e propaganda, si fanno sempre più labili. Contrastare tale deriva richiede una nuova governance democratica dell’informazione digitale, fondata su trasparenza, collaborazione e responsabilità condivisa. 

L’Unione europea ha compiuto passi significativi con il Digital Services Act e l’AI Act, che impongono a giganti come Meta, Google e X obblighi di trasparenza sugli algoritmi e misure di mitigazione dei rischi sistemici. Tuttavia, l’efficacia di queste norme dipenderà dalla loro rigorosa applicazione e dal coordinamento con le autorità nazionali.

Accanto al quadro regolatorio, è necessario promuovere investimenti pubblico-privati per sviluppare strumenti di intelligenza artificiale a supporto di giornalisti, ricercatori e fact-checker: tecnologie capaci di individuare deepfake, tracciare la disinformazione e analizzarne le dinamiche di diffusione. Parallelamente, servono programmi di alfabetizzazione digitale diffusi, che rafforzino le competenze critiche dei cittadini e li rendano più consapevoli dei meccanismi che governano l’informazione online.

Il giornalismo, dal canto suo, deve evolversi. Servono competenze di indagine digitale, capacità di verifica tramite IA e nuovi formati editoriali in grado di ristabilire la fiducia e l’attenzione del pubblico. Esperienze collaborative come l’European Digital Media Observatory (EDMO) dimostrano l’efficacia di reti transnazionali che uniscono redazioni, accademici e società civile nel contrasto alla disinformazione. 

Solo una governance multilivello e un impegno collettivo per la trasparenza algoritmica potranno preservare la credibilità dello spazio pubblico digitale e garantire che la rivoluzione tecnologica resti al servizio della democrazia, non della sua erosione.

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