La devastazione provocata dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre, unitamente alle drammatiche conseguenze che continuano a manifestarsi nel contesto locale e regionale a distanza di due anni, ha profondamente sconvolto anche il ristretto ma dinamico settore della cooperazione dal basso tra israeliani e palestinesi. Quest’ultimo rappresenta uno dei pochi ambiti che erano stati contraddistinti da una persistente continuità attraverso le varie fasi del conflitto israelo-palestinese (Simoni 2013), già a partire dalla Guerra del 1948 (Azoulay, 2014).
La storica Tamara Herman (2008), ha paragonato la storia di questo movimento al moto ondulatorio della coda di una balena, caratterizzato dall’alternanza di momenti sommersi ed emergenti. All’interno di questo scenario, che dagli anni Settanta si è articolato in una pluralità di realtà associative – tra cui la più nota Peace Now (1978) (www.peacenow.org.il/en) – un ruolo particolare è stato rappresentato da associazioni e organizzazioni non governative (ONG) congiunte israelo-palestinesi (Simoni, 2007). Salvo rare eccezioni, dopo il 7 ottobre 2023, queste hanno necessariamente riorientato le proprie attività per rispondere a una nuova situazione di crescente violenza e in continua trasformazione.
La crisi dopo il 7 ottobre
Il biennio scaturito dal 7 ottobre ha avuto (e sta continuando ad avere) conseguenze che vanno oltre la devastazione materiale della Striscia di Gaza, le sue (per ora) 65.000 vittime e la questione degli ostaggi, di cui quarantotto (tra vivi e deceduti) ancora prigionieri di Hamas mentre scriviamo. In questo periodo si è affermata l’idea (e la pratica) della guerra permanente come funzionale a ridisegnare equilibri regionali e, nello specifico caso dello Stato di Israele, a salvare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu da tre procedimenti penali per frode e corruzione. In questo contesto sono anche emerse con forza le tendenze autoritarie e massimaliste della coalizione di partiti religiosi ortodossi che ne sostengono il governo.
Di fronte a questo scenario qui solo accennato, è legittimo interrogarsi su quali voci abbiano espresso un dissenso critico che ha provato a oltrepassare la coesione che quasi sempre caratterizza il fronte interno di un paese/società in tempo di guerra. Quali realtà congiunte della società civile israelo-palestinese hanno tentato di distinguersi rispetto al discorso dominante e sono sopravvissute in questo periodo particolarmente oscuro?
La guerra permanente
Intellettuali, giornalisti e attivisti israeliani (Ben Shitrit, 2024) – tra cui David Grossman, Fania Oz Salzberger, Assaf Gavron e l’intera direzione e redazione del quotidiano Haaretz, solo per menzionare i più noti – e, seppur più sporadicamente, alcune voci palestinesi – come nel caso del giurista Salman al-Dayah – hanno preso pubblicamente posizione in forme e con toni differenti contro la guerra, il suo utilizzo strumentale e la sproporzione nell’uso della forza; Fania Oz Salzberger ha lanciato un appello ai soldati israeliani a rifiutare la chiamata alle armi. Ad al-Dayah è attribuita una fatwa che condannava Hamas per gli attacchi del 7 Ottobre.
Il loro contributo ha probabilmente avuto maggiore eco all’estero che non in patria. Qui sono state alcune ONG congiunte che hanno cercato di mitigare le conseguenze più drammatiche del periodo, non tanto nella Striscia di Gaza, evidentemente inaccessibile, quanto nella West Bank dove l’aumento della violenza da parte dei coloni più oltranzisti ha portato, in questo stesso periodo, alla morte di quasi mille residenti palestinesi. Qui numerose ONG israeliane, palestinesi e/o congiunte hanno continuato ad operare; per motivi di spazio ne menziono qui quattro: B’Tselem, A Land for All, Standing Together e Combatants for Peace operano in ambiti leggermente diversi ma sono complementari all’interno di una più ampia cornice che promuove l’idea e la pratica della convivenza in uno spirito di tutela dei diritti umani. Istituita come centro di documentazione sulle violazioni dei diritti umani avvenute nei territori occupati palestinesi (ToP) durante la Prima Intifada (1987-1991), la prima (l’unica delle quattro a non essere congiunta) si distingue per la sua posizione particolarmente critica.
Negli ultimi due anni, B’Tselem ha pubblicato rapporti, materiali video e documenti nei quali segnala la distruzione del tessuto sociale della società palestinese nella Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre 2023, accogliendo la definizione di genocidio. A Land for All propone una soluzione confederale orientata alla costituzione di due entità sovrane interconnesse attraverso istituzioni condivise. Negli ultimi due anni, ha continuato a promuovere tavoli di dialogo fra israeliani e palestinesi sulle possibilità di una confederazione, con seminari pubblici e a iniziative per la fine dell’occupazione. Standing Together è un movimento sociale interetnico, che favorisce la mobilitazione congiunta di cittadini arabi ed ebrei attraverso campagne e manifestazioni pubbliche per la giustizia sociale e l’eguaglianza, con particolare attenzione alle minoranze e alla lotta contro l’occupazione.
Le ONG congiunte e la ricerca di convivenza
Dopo il 7 ottobre 2023, ha attivato una campagna di assistenza per le comunità colpite, organizzando trasporti di aiuti umanitari verso Gaza, manifestazioni per il cessate il fuoco, convenzioni pubbliche di solidarietà e una “guardia umanitaria” a protezione delle carovane di soccorso e delle minoranze palestinesi attaccate da coloni nei ToP. Infine, la storica Combatants for Peace si configura come iniziativa bi-nazionale nata dall’incontro tra ex-combattenti israeliani e palestinesi, impegnati nel superamento della violenza politica tramite pratiche nonviolente, attività di memoria condivisa e interventi diretti nelle comunità, per esempio nelle scuole, con l’idea di lavorare sulla costruzione di relazioni paritarie e attraverso la rielaborazione critica del passato conflittuale.
Tra il 2023 e il 2025 Combatants for Peace ha proseguito con le tradizionali Joint Memorial Ceremony, la celebrazione alternativa del giorno dell’Indipendenza dello Stato di Israele, a cui ha affiancato la protezione dei civili e di pastori e agricoltori palestinesi nella Valle del Giordano.
Assieme ad altre ONG, ciascuna di queste ha contribuito da prospettive e metodologie differenti, alla ricerca di una convivenza che sia fondata sul riconoscimento reciproco, nonostante la consapevolezza di rappresentare una piccola minoranza all’interno delle due popolazioni, specialmente in tempo di guerra, di operare in una situazione che rimane comunque asimmetrica, e allo stesso tempo di essere legati in una relazione che li lega da un punto di vista storico, identitario e politico, a cui non possono sfuggire (Lockman, 1996).
Azoulay Ariela. Civil alliances – Palestine, 1947–1948. Settler Colonial Studies, 4/4 2014: 413–433.
Ben-Shitrit, Lili. The Gates of Gaza. Critical Voices from Israel on October 7 and the War with Hamas. Leiden: De Gruyter, 2024.
Lockman, Zachary. Comrades and Enemies: Arab and Jewish Workers in Palestine, 1906-
- Berkeley: University of California Press, 1996.
Herman Tamar S, The Israeli Peace Movement: A Shattered Dream, Cambridge: Cambridge University Press, 2008.
Simoni Marcella. “Sul confine. L’attivismo congiunto israelo-palestinese,” in Quaranta anni dopo. Confini, barriere e limiti in Israele e Palestina (1967-2007), a cura di Arturo Marzano e Marcella Simoni, Bologna: Il Ponte: 72-88.
Simoni Marcella. Israelis and Palestinians Seeking, Building and Representing Peace, “Quest. Issues in Contemporary Jewish History,” 5. https://www.quest-cdecjournal.it/?issue=05
