Il caso di Israele al tempo delledemocrature 

Cosa è successo alla democrazia liberale?


Articolo tratto dal N. 18 di

(Sono) stato di diritto

Il 9 gennaio il Ministro della Giustizia israeliano Levin e il Ministro degli Esteri Sa’ar hanno presentato un nuovo pacchetto di riforme del sistema giudiziario israeliano, finalizzato ad aumentare il potere politico sulle nomine giudiziarie e a limitare la capacità della Corte Suprema di invalidare le leggi promosse dal Parlamento. Le nuove ipotesi sono l’ideale riproposizione, seppure in scala ridotta, dell’ampia proposta di riforma che ha scatenato le grandi manifestazioni popolari interrotte con i fatti del 7 ottobre 2023 e la crisi umanitaria conseguente. Si tratta, pur nella formulazione generica e informale di questa nuova proposta, di misure che tentano nuovamente di “politicizzare” il sistema giudiziario israeliano e neutralizzarne il potenziale contro-maggioritario sottoponendolo al potere Esecutivo 

La giustizia sotto attacco

L’Associazione degli Avvocati di Israele ha denunciato la “totale politicizzazione” delle nomine alla Corte Suprema, mentre gli studiosi di diritto costituzionale hanno espresso preoccupazione per l’erosione dell’indipendenza giudiziaria rispetto ai poteri politici. 

La proposta arriva parallelamente all’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che ha profondamente acuito le divisioni all’interno dell’Esecutivo israeliano e accentuato le tensioni tra le diverse componenti del Governo. I parlamentari del blocco ultra-sionista e antiarabo hanno mostrato una profonda spaccatura. Il 19 gennaio, infatti, Otzma Yehudit di Ben Gvir ha abbandonato il Governo, accusando Netanyahu di aver ceduto ai cosiddetti “ricatti” internazionali, così da impedire una “vittoria definitiva” di Israele. D’altro canto, Smotrich, leader del Partito Hatzionut Hadatit, ha scelto, al momento, di rimanere nell’Esecutivo, pur rivendicando maggiore libertà d’azione per portare avanti la questione centrale dell’espansione delle colonie ebraiche in Cisgiordania e dell’annessione di questi territori allo Stato di Israele. 

Benjamin Netanyahu

Se dunque le nuove proposte arrivano in una contingenza politica specifica per il Governo più a destra della storia dello Stato – che deve ora fare i conti con una maggioranza parlamentare di soli 62/120 e con l’inquietudine dei partiti ultraortodossi, ai quali è stata nuovamente promesso, nonostante l’opposizione e le sentenze della Corte, un disegno di legge per l’esenzione militare – la fase regressiva della qualità democratica e costituzionale non è nuova. Semplificando, è almeno dall’approvazione della Nation State Law del 2018 che al comma C dell’art.1 sancisce non senza polemiche che “The realization of the right to national selfdetermination in the State of Israel is exclusive to the Jewish People”, che il sistema politico e giuridico affronta una preoccupante fase di degenerazione costituzionale.

L’instabilità cronica, che ha portato a 5 tornate elettorali tra il 2019 ed il 2022, è il segnale di un sistema partitico sempre più polarizzato e diviso, brillantemente illustrato dall’ex Presidente Rivlin attraverso la metafora delle “tribù di Israele”, e che tuttavia, a differenza di queste ultime, si nutre di formazioni che nascono e muoiono rapidamente e altrettanto velocemente si alleano e si scontrano. 

Fiducia persa, democrazia sospesa

A riprova delle molte difficoltà del momento, per la prima volta, nel 2024, il Global democracy index report del V Dem Institute ha declassato Israele da “democrazia liberale” a “democrazia elettorale”, con l’indice che attribuisce esplicitamente il calo del “punteggio democratico” ai tentativi dell’Esecutivo di approvare la controversa riforma giudiziaria lo scorso anno. Sebbene la Corte sia successivamente intervenuta sul tema, sancendo il primo caso di annullamento di un emendamento ad una Legge Fondamentale israeliana da parte della Corte Suprema (che non a caso vedrebbe questa prerogativa cancellata nei piani di Netanyahu), l’indice riconosce, proprio nella iniziale approvazione della misura, un preoccupante sintomo di erosione della democrazia israeliana. 

Anche sul fronte interno le cose non migliorano: il Rapporto 2024 sulla Democrazia in Israele sottolinea una percepibile diminuzione della fiducia nei confronti delle istituzioni, aggravata dalla percezione diffusa di inefficienza che le caratterizzerebbe, e da una frammentazione politica polarizzata che continua a mettere a dura prova il funzionamento del sistema di governo.

Il dato che emerge con maggiore forza è il contrasto tra la fiducia riposta nelle forze di sicurezza e quella, molto più ridotta, nelle istituzioni politiche e giudiziarie. Mentre l’esercito continua a essere l’istituzione con il livello di fiducia più alto (77% tra gli ebrei e 30% tra gli arabi), altre istituzioni, come la Corte Suprema e il Governo, sono percepite in modo più negativo. La fiducia nel Parlamento e nei partiti politici è ancora più bassa, con un dato che si attesta rispettivamente al 16% e al 10,5%, segnalando una grave crisi di legittimazione. (Solo nel 2021 era 25% per la Knesset e al 15% per i partiti). 

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