La sola città sostenibile è quella solidale 


Articolo tratto dal N. 52 di Tante care case Immagine copertina della newsletter

Scegliere il luogo, la città in cui vivere significa spesso dare forma e sostanza ai propri progetti di vita, personali e professionali, con un chiaro impatto sulla qualità della vita nostra e delle persone che ci stanno accanto, in particolare di quelle più fragili.  

Salvatore Veca considerava la città un interessante oggetto di studio: un luogo, fisico e sociale, in cui si generano opportunità di lavoro e di crescita personale, in cui si chiede e si offre ospitalità, si vivono e si condividono spazi, si trova risposta ai propri bisogni, si creano legami e relazioni e, attraverso queste, si costruisce fiducia e solidarietà. Ma è anche il luogo in cui si generano divisioni sociali, si creano i presupposti per dar luogo a forme di marginalità e di esclusione o per acuirle, si vivono insicurezze e solitudini. Nelle parole di Salvatore: “La condanna delle persone alla solitudine nella città metropolitana è il paradigma del male sociale per eccellenza. La solidarietà è allora offerta concreta di buona compagnia umana” (Repubblica, 14 dicembre 2020), concludendo che la sola città sostenibile non può che essere quella solidale. 

Ecco allora che conta, e molto, come si disegnano e si costruiscono le città, come si governano le dinamiche – tanto quelle positive quanto quelle negative – che trasformano i luoghi dell’abitare, come si possono promuovere fattori abilitanti e protettivi che sono alla base della solidarietà e dell’accoglienza e come invece contrastare o contenere quei fattori che generano tensioni sociali, insicurezze e isolamento. Ogni scelta politica, tecnica o economica che incide sulla costruzione, sulla trasformazione e sulla gestione urbana dovrebbe interrogarsi e portare buoni argomenti sulle conseguenze che queste scelte hanno sul vivere delle persone, con particolare attenzione ai più vulnerabili per ragioni di età, di condizione sociale o personale. E invece si lascia troppo spesso che criteri di convenienza politica o economica guidino queste scelte, nell’inconsapevolezza, talvolta nell’indifferenza, di quali saranno gli effetti che queste scelte potranno produrre sulla vita delle persone e della comunità. 

Salvatore Veca
Salvatore Veca

Ma Salvatore Veca guardava alla città come a qualcosa di ben più vasto di uno spazio urbano, in un qualche modo definito. Abitiamo lo stesso mondo, seppur in luoghi fisici differenti, e siamo parte dell’ampia comunità umana, una sola umanità in un solo pianeta, e dunque è indispensabile cercare di costruire le fondamenta per una ‘buona convivenza sulla base di un ideale di sviluppo e fioritura umana’ che si regga sul principio di responsabilità e di cittadinanza globale.

Nel suo libro La gran città del genere umano. Dieci conversazioni filosofiche (Mursia, 2014), titolo che riprende una famosa citazione di Giambattista Vico, Salvatore apre una riflessione sul nostro modo di vivere e convivere, sulla nostra qualità di vita, sulle sfide per il futuro in tempi difficili. Troviamo in questo suo lavoro, ancora una volta, il richiamo a valori fondamentali inconfutabili – quali libertà e responsabilità, condivisione e solidarietà, pluralismo dei valori.

Un richiamo alla necessità di costruire ponti e non isole, di superare la limitatezza del concetto di ‘io’ per estendere i confini del ‘noi’. Perché ‘fare ponti non vuol dire stabilire dove le persone devono andare. Vuol dire offrire alle persone le opportunità e le opzioni per andare dove aspirano, dove desiderano andare (p. 57)’. Prendendo a prestito le parole di Amartya Sen, un autore molto studiato e stimato da Salvatore, questo significa riconoscere e garantire le libertà, non solo formali ma sostanziali, che permettano agli individui di realizzare la vita a cui attribuiscono valore. 

Ma è anche una riflessione sul concetto di responsabilità come valore sociale per poter rispondere all’interrogativo filosofico: responsabilità di chi, nei confronti di chi e per che cosa. Salvatore ci direbbe che è la responsabilità sociale e individuale, che chiama in causa ciascuno di noi – cittadini del mondo, associazioni, imprese, organizzazioni della società civile, politica – nell’impegno di garantire un sistema più giusto e sostenibile, un sistema che sappia accogliere, farsi carico dei soggetti più fragili e vulnerabili che vivono le nostre comunità e che, più in generale, appartengono alla comunità umana, presente e futura.  

Quale sia la scala – globale o locale – a cui si guarda, la costruzione di una convivenza civile e la qualità della vita delle persone non può prescindere dalla capacità di costruire un senso di comunità solidale. 

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