Chi siamo diventati?
Una storia delle classi sociali in Italia 

approfondimento


Paolo Funari Paolo Funari
Sofia Berni Sofia Berni
Articolo tratto dal N. 34 di Compagni di classe Immagine copertina della newsletter

Nel 1972, Sylos Labini pubblicava Il saggio sulle classi sociali con l’obiettivo di indagare le cause profonde dell’immobilismo riformatore in Italia, attraverso un’analisi accurata della struttura sociale e dei comportamenti politici delle diverse classi. Nel 2025, quell’esigenza resta attuale: comprendere la composizione sociale del Paese e i suoi orientamenti politici è ancora una necessità imprescindibile per la politica, chiamata a cogliere le urgenze del “Paese reale” e a dare risposte credibili. Se le ragioni che spinsero Sylos Labini alla stesura del suo saggio sono ancora valide, oggi, a più di cinquant’anni di distanza, è tuttavia fondamentale aggiornare le categorie analitiche con cui leggiamo la realtà sociale italiana. 

Infatti, a partire dagli anni ’70, la struttura sociale italiana ha subito cambiamenti profondi. In piena fase industriale, la classe operaia costituiva il 52,3% della popolazione attiva, mentre le classi medie rappresentavano il 45,4%, trainate da una crescente piccola borghesia impiegatizia. L’occupazione agricola, intanto, era in forte ritirata1. 

Durante gli anni ’90, con il passaggio all’economia post-industriale, prende avvio un processo di terziarizzazione: la classe operaia scende al 35,8%, mentre le classi medie salgono al 54,3%. Nei primi anni 2000, il trend si consolida: la classe media arriva al 62,3%, mentre la classe operaia si riduce al 26,1%, accompagnata da un’espansione dell’impiego nei servizi pubblici e un calo dell’industria e del commercio. 

Nel 2023, la società appare più frammentata: la classe operaia rappresenta poco meno di un quarto della popolazione attiva e si divide tra garantiti e precari; la classe media, seppur maggioritaria, è segnata da forti disuguaglianze interne, soprattutto nella fascia medio-bassa. 

Dunque, le narrazioni sulla scomparsa della classe operaia o sulla “cetomedizzazione” della società semplificano realtà più complesse: le classi sociali esistono ancora, pur con forme mutate, e includono oggi anche lavoratori dei servizi in condizioni precarie e con basse tutele salariali (Ardeni, 2024). 

Classi sociali e preferenze partitiche 

Se si guarda ai dati dell’European Social Survey (ESS) (2002–2023), che forniscono informazioni circa l’appartenenza alle classi sociali (legata all’occupazione) e le preferenze partitiche, si nota una sostanziale stabilità della composizione delle classi medio-basse, in particolare tra piccoli imprenditori e lavoratori qualificati (operai specializzati, tecnici, e addetti al settore manifatturiero o edile), e della classe operaia non qualificata (come addetti a pulizie, facchinaggio, trasporti), che rappresenta oggi una porzione significativa della forza lavoro. 

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Fonte: European Social Survey

 

Per quanto riguarda le preferenze politiche, i lavoratori dei servizi ad alte competenze (dirigenti, professionisti) hanno ridotto, rispetto ai primi anni Duemila, il proprio sostegno al centro-destra, incrementato il voto alla destra radicale e leggermente diminuito la propensione verso il centro-sinistra. 

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Fonte: European Social Survey

 

I lavoratori dei servizi a bassa qualificazione mostrano un andamento simile ma più marcato: forte calo delle preferenze per i partiti tradizionali (centro-destra e centro-sinistra) e crescita significativa della destra radicale. Da segnalare un tasso elevato di astensionismo, pari al 28,5%. 

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Fonte: European Social Survey

 

Tra i piccoli imprenditori (autonomi, artigiani, commercianti) si osserva un calo netto del consenso verso il centro-destra, mentre la destra radicale diventa la prima area di riferimento. L’astensionismo in questo gruppo raggiunge quasi il 40%. 

 

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Fonte: European Social Survey

I lavoratori qualificati (operai specializzati, tecnici, addetti al manifatturiero e all’edilizia) si distribuiscono tra centro-sinistra (20,1%) e destra radicale (21,1%), con una chiara flessione del Movimento 5 Stelle, che scende per la prima volta dal 2012 sotto il 20% in questa fascia. 

Infine, tra i lavoratori non qualificati (addetti alle pulizie, facchinaggio, trasporti), l’astensionismo tocca il picco del 43,6%. Le preferenze si dividono principalmente tra centro-sinistra, destra radicale e, in misura minore, Movimento 5 Stelle. 

Genere e appartenenza di classe 

Negli ultimi decenni, la partecipazione femminile al lavoro in Italia è aumentata sensibilmente, passando da 4,9 a oltre 10,9 milioni di occupate nel 2023 (42,8%). Tuttavia, questo progresso quantitativo non si è tradotto in una piena parità: le donne restano concentrate nelle classi medie impiegatizie (59,5%) e sono sottorappresentate nei segmenti operai e meno qualificati. Persistono inoltre forti disuguaglianze contrattuali, con il 33% impiegato in part-time (contro l’8,2% degli uomini) e un’alta incidenza di lavoro precario, con ricadute negative su reddito e stabilità (Ardeni, 2024). 

In assenza di una base dati unica e coerente su tutte le dimensioni osservate, ci si è affidati a fonti diverse che offrono dati complementari. Ad esempio, secondo Cetrulo, Sbardella e Virgillito (2023), il divario salariale di genere mostra una dinamica opposta a seconda della posizione occupata: tra le donne in posizioni apicali, come le manager, il gap retributivo rispetto agli uomini tende a ridursi nel tempo, segno di un parziale avanzamento verso l’equità; al contrario, tra le lavoratrici operaie il divario aumenta, indicando che le donne nelle fasce basse del mercato del lavoro sono sempre più penalizzate. Questo andamento diseguale suggerisce una crescente polarizzazione all’interno del lavoro femminile, dove solo una parte ristretta migliora le proprie condizioni, mentre la maggioranza continua a subire forme strutturali di disuguaglianza. 

Queste dinamiche trovano riscontro anche sul piano politico. I dati ESS segnalano un calo del sostegno femminile alla sinistra, in particolare tra le lavoratrici qualificate: il centro-sinistra passa dal 42,3% nel 2002 al 25,5% nel 2023, mentre l’astensionismo sale al 38,9% e la destra radicale cresce fino al 19,7%. Una tendenza analoga riguarda le donne nei servizi a bassa qualificazione. Rispetto agli uomini, le differenze restano marcate: nella classe dei lavoratori qualificati solo il 17,1% degli uomini vota centro-sinistra, mentre nella classe dei servizi meno qualificati la destra radicale raccoglie il 33,5% maschile contro il 25% femminile. Questi dati confermano l’importanza di un approccio intersezionale per comprendere come genere e classe influenzino congiuntamente le scelte politiche. 

Classi sociali e astensionismo 

Nel contesto italiano attuale, l’astensionismo si conferma come il “partito” numericamente più rilevante. Non si tratta solo di disinteresse, ma di una disaffezione più profonda, alimentata da sfiducia nelle istituzioni, percezione di irrilevanza del voto e insoddisfazione per l’offerta politica. 

 Anche in questo caso, si è fatto riferimento ai dati ESS, che consentono un’analisi coerente per classi sociali e comportamenti dichiarati. I dati 2023, riferiti a chi ha dichiarato di non aver votato alle ultime elezioni, mostra come l’astensionismo si distribuisca in modo diseguale tra le classi sociali. È contenuto nella classe dei servizi di alto livello (7,1%), ma cresce nella classe dei servizi di livello basso (13,4%) e tra i piccoli imprenditori (22,3%). Rimane elevato anche tra la classe dei lavoratori non qualificati (24,4%) e raggiunge il picco tra i lavoratori qualificati, con un tasso del 32,8%.

L’importanza delle classi sociali ieri e oggi 

Nel 1972, nel pieno di una stagione di mobilitazioni operaie e studentesche, Sylos Labini pubblica il Saggio sulle classi sociali, analizzando le ragioni delle riforme mancate in Italia. In un contesto di grandi conquiste, dallo Statuto dei Lavoratori alla legge sul divorzio, Labini denuncia lo scarto tra aspettative e risultati, attribuendo le resistenze al cambiamento agli interessi della piccola borghesia e alla debolezza strategica della sinistra, incapace di rappresentare pienamente le classi popolari. 

Per superare tale impasse, Labini propone un’alleanza tra la classe operaia e i settori più dinamici della classe media, uniti da un comune interesse per il progresso economico e civile. Questo richiede, però, una conoscenza accurata della composizione sociale del Paese. 

A più di cinquant’anni di distanza, quell’invito alla lettura critica della società italiana appare ancora urgente. Comprendere chi abita oggi il Paese reale, quali disuguaglianze lo attraversano e come queste influenzino il comportamento politico è una condizione necessaria per progettare una rappresentanza più consapevole. Rileggere e mappare il profilo degli elettori diventa dunque uno strumento essenziale per riformulare l’iniziativa politica, in un tempo in cui ignorare le fratture sociali equivale a procedere senza direzione o visione politica. 

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