Il brusco risveglio europeo in un mondo cambiato

approfondimento


Articolo tratto dal N. 32 di Game of Nations Immagine copertina della newsletter

Quello che è stato celebrato come il rinnovato attivismo dell’Europa di fronte agli strappi della nuova Amministrazione Trump tradisce, in realtà, un completo spaesamento politico e culturale. Trentacinque anni dopo la fine del sistema internazionale bipolare e, con esso, dell’intero Novecento, l’Europa si ritrova in una realtà completamente diversa da quella che si era immaginata o, più precisamente, aveva dato semplicemente per scontata. Perché, al posto della celebratissima transizione a qualche nuovo ordinamento post-statale e post-territoriale, le relazioni internazionali stanno riprecipitando in un vorticoso processo di ristatualizzazione e riterritorializzazione. Al posto della riforma in senso cosmopolitico del diritto internazionale, la convivenza internazionale rischia di regredire a una condizione di anarchia sempre più sregolata. Mentre, in un contesto di progressiva rimilitarizzazione del contesto internazionale, le risorse di una potenza dichiaratamente “civile” quale l’Unione europea appaiono sempre meno spendibili se non, peggio, sempre più irrilevanti.

Le amesie dell’integrazione europea

Questo brusco risveglio mette drammaticamente allo scoperto le forzature, le disattenzioni e le vere e proprie amnesie nelle quali l’Europa si è cullata negli ultimi trentacinque anni. Sotto l’incanto dell’allargamento e dell’approfondimento del proprio processo di integrazione, le élite politiche e intellettuali europee hanno dedicato molto più tempo a ragionare sull’evoluzione politica, economica e istituzionale di questo processo che a interrogarsi su come, nel frattempo, stesse cambiando il posto dell’Europa nel Mondo. Col risultato di non vedere quanto questo mutamento fosse destinato a pregiudicare, col tempo, il potere e il prestigio dell’Europa. 

Al livello più superficiale, questo è ciò che è avvenuto sul terreno della sicurezza politico-militare. La rincorsa delle ultime settimane alla difesa e al riarmo dell’Europa ha, fino adesso, come unico significato quello di ricordare che, dalla fine della Guerra Fredda a oggi, gli europei non hanno saputo fare niente di meglio che continuare ad affidarsi totalmente alla garanzia degli Stati Uniti, dando semplicemente per scontato che la soluzione concepita alla fine della Seconda guerra mondiale e incarnata nel Patto atlantico del 1949 sarebbe durata all’infinito. E ciò nonostante il fatto che tutte le Amministrazioni statunitensi degli ultimi venticinque anni abbiano ripetutamente dichiarato che gli interessi politici, economici e strategici degli Stati Uniti si stavano spostando sempre di più verso l’Indopacifico.

Un mutamento epocale 

Ma, soprattutto, l’Europa ha continuato a non volere fare i conti con il mutamento in senso proprio epocale che l’ha investita nell’ultimo secolo: la propria detronizzazione da centro del mondo la quale, per di più, ha ricevuto una nuova e probabilmente decisiva spinta dalla fine della Guerra Fredda. Sebbene, infatti, il proprio tradizionale ruolo di centro di irradiazione mondiale di istituzioni, linguaggi e conflitti fosse già andato perduto in seguito alla catastrofe delle due guerre mondiali, nella seconda metà del Novecento l’Europa era rimasta pur sempre il baricentro della competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica: non era ancora scivolata, in altre parole, al rango di fronte come tutti gli altri della Guerra Fredda, bensì era rimasta di gran lunga il suo fronte principale. Con la fine della competizione bipolare, al contrario, anche questo residuo di centralità è venuto immediatamente meno. Con la conseguenza che, per la prima volta nella storia, l’Europa si ritrova a essere una regione tra le altre di un sistema internazionale globale. Quando, in precedenza, essa era stata solo una fra le tante regioni del mondo (prima del periodo dell’espansione europea), il mondo era molto meno interdipendente; ora invece il globo è uno solo e l’Europa non ne costituisce più il centro. 

Questa dislocazione – e il disorientamento che le è associato – avrebbe richiesto un ripensamento di sé e del proprio posto nel mondo che, al contrario, l’Europa e le sue istituzioni hanno preferito esorcizzare nella pretesa di continuare a recitare il ruolo di “grande potenza civile” del sistema internazionale: una pretesa che, alla luce della imponente redistribuzione del potere e del prestigio avvenuta nell’ultimo secolo, avrebbe dovuto suonare più che anacronistica semplicemente grottesca. E il cui fallimento, reso sempre più palese dal clima di competizione dell’ultimo decennio, obbliga l’Europa a interrogarsi una volta per tutte sul proprio futuro, ma con qualche decennio di ritardo e in una situazione politica, economica e diplomatica deteriorata.

Ricevi il numero completo di PUBBLICO nella tua casella di posta

Non sei ancora iscritto? Compila il form!