Prato, centrale del fast-fashion
Il distretto industriale di Prato, cuore pulsante della produzione tessile europea, ha le sembianze di un non luogo. Ai lati delle arterie a scorrimento veloce percorse dai camion della logistica si ergono distese di capannoni, sedi di piccole-medie imprese adibite alle lavorazioni di prodotti tessili destinati alle filiere del fast-fashion e del lusso. I margini delle strade sono costellati di insegne di aziende con scritte bilingue in cinese e italiano, nei parcheggi è comune notare cumuli di scarti di lavorazione illuminati dalle luci degli stabilimenti in funzione a ciclo continuo.
Dalla fine degli anni ’80, si è assistito a un notevole afflusso di migranti asiatici impiegati nel settore tessile. La crisi della piccola-media impresa, dovuta alla globalizzazione, ha poi portato molti imprenditori cinesi ad acquisire le aziende nel decennio successivo. L’impiego di forza-lavoro migrante ha consentito di conservare margini di produttività e profitto significativi.
Lo sfruttamento dei migranti
A sorreggere l’eccellenza del settore sono le condizioni di sfruttamento e vulnerabilità a cui sono sottoposti i lavoratori migranti. Vulnerabilità implementate dal ricatto del permesso di soggiorno legato al lavoro che porta i lavoratori nelle fauci dell’imprenditoria degli appalti a ribasso per marchi fast-fashion e di lusso. Nelle piaghe di questo sistema si sviluppano le lotte operaie a Prato, in cui la classe operaia multinazionale si batte per reclamare diritti e dignità, sul lavoro e nella propria vita.
Dal 2018 i sindacalisti prima iscritti sotto la sigla del SI Cobas, poi dal maggio 2024 passati al SUDD – Sindacato Unione Democrazia e Dignità – Cobas, hanno iniziato un lavoro di inchiesta e sindacalizzazione nel distretto industriale. Dai picchetti sono emerse le condizioni di lavoro nero e contratti farsa; ai lavoratori che alzavano la testa rivendicando diritti, gli imprenditori rispondevano con aggressioni fisiche. Con l’arrivo del sindacato di base, in molti hanno trovato la forza di ribellarsi. Nonostante questo, la strategia della violenza assieme alla repressione legale dell’azione sindacale restano una costante: all’aumentare della pressione del conflitto operaio, si intensifica il dispositivo di silenziamento padronale.
I fatti intercorsi tra lo sciopero a oltranza per il pagamento di sette mesi di stipendi alla tintoria Superlativa nell’ottobre 2019 e la manifestazione contro i decreti sicurezza del gennaio 2020 sono emblematici della complementarità di violenza squadrista e repressione istituzionale.
La repressione delle proteste
Tutto inizia a metà ottobre 2019, quando ai cancelli della Superlativa, il capo-reparto aizza un’autista ad investire gli scioperanti per far uscire le merci. Alle invettive segue l’aggressione con crick e spranghe di ferro. Pochi giorni dopo, le violenze si ripetono: la sindacalista Sarah Caudiero viene investita riportando gravi contusioni a un piede e alla caviglia. Appreso l’avvenuto, gli operai della zona partono in corteo per portare solidarietà ai lavoratori della Superlativa, dove in serata la polizia sgombera il picchetto.
Tra novembre e dicembre, viene comminata una multa di 4000 euro ciascuno a diciannove operai e due studentesse per manifestazione non autorizzata. A gennaio 2020, il sindacato risponde indicendo un corteo in centro a Prato per la libertà di manifestazione e la cancellazione delle multe, autorizzato dalla Questura per soli seicento metri.
Il modus operandi si ripete con più forza durante la lunga vertenza alla Texprint, ancora nel Macrolotto di Prato. Le rivendicazioni degli operai sfruttati, anch’essi migranti, sono quelle di avere orari, condizioni e contratti di lavoro normali: 8 ore, 5 giorni. “8×5” diventa la campagna per la fine della schiavitù e una vita bella. La dialettica mobilitazione – violenza – repressione si aggrava con elementi di contro-mobilitazione padronale e collusione mafiosa del proprietario Valerio Zhang.
“Loro non stanno facendo uno sciopero, è una violenza.” Così dichiarò una dipendente Texprint durante un presidio sotto il comune di Prato “Vogliamo lavorare” per chiedere lo sgombero del picchetto. Nessuna parola venne rilasciata sugli attacchi ai lavoratori in sciopero. Una simile strategia di contrapposizione interna alla forza-lavoro viene utilizzata nella vertenza di Mondo Convenienza, nel magazzino a meno di due chilometri dallo stabilimento ex-GKN di Campi Bisenzio.
Sciopero e denuncia dello sfruttamento
Un elemento di novità è introdotto nel corso della vertenza negli appalti dei fornitori di Montblanc, alla Z Production. La risposta al doppio-movimento di sciopero al committente e denuncia dello sfruttamento nei negozi delle vie del lusso di Firenze, ha comportato la delocalizzazione delle lavorazioni e la proposta di “daspo sindacale” per sindacato e lavoratori nei pressi dei negozi del centro, ritirata grazie alle pressioni dei lavoratori.
Il legame tra criminalità e imprenditoria
Il cono d’ombra del distretto industriale diventa terreno fertile per le organizzazioni criminali, che trasformano l’illegalità in un meccanismo per ripulire capitali. A pagare le conseguenze di questa guerra sono i lavoratori, perdendo la vita come nel rogo dello stabilimento Teresa Moda nel 2013, o trovandosi a ricevere stipendi in nero al fine di veder riciclati i capitali delle mafie. Il sistema “chiudi e riapri” delle aziende utilizzato per poter andare in rosso senza gravare sulle spese dei committenti, è sinergico al sistema criminale di pezzi di imprenditoria pratese.
Chi decide di sottrarsi alla collaborazione con le mafie è punito con attacchi agli stabilimenti.
In questo conflitto, gli autisti trasportano senza saperlo ordigni esplosivi o sono costretti sotto minaccia a consegnare i mezzi; nei sabotaggi alle fabbriche, gli operai, costretti a turni di lavoro eccessivi, rischiano la vita.
Eppure, la storia della lotta di classe a Prato non è segnata da un destino già scritto. Essa non è sotto una pressa ma all’interno di una pentola a pressione. A farne saltare il tappo è stato il meccanismo di solidarietà spontanea sviluppatosi nella classe operaia multinazionale: prima 8×5, lavorare per vivere e non vivere per lavorare, poi Mondo Convergenza, dai cancelli dei magazzini del grossista di mobili alla solidarietà intersindacale europea.
Così aumenta la sindacalizzazione laddove era impensabile: nelle piccole-medie imprese e nelle fila della classe operaia transnazionale. Le copiose chiusure degli scioperi con la firma di accordi di stabilizzazione 8×5 accrescono la consapevolezza che la lotta paga. Parallelamente, l’emergere delle lotte porta ad acquisire ulteriori margini di agibilità per i picchetti, con l’esclusione della richiesta del suolo pubblico per i presidi sindacali ottenuta a Prato nel corso della vertenza alla CXL Maglierie.
La portata delle lotte è amplificata dalla mobilitazione. Insorgiamo, nata in risposta ai licenziamenti della ex-GKN di Campi Bisenzio e nella strategia di convergenza delle lotte sindacali e sociali. Il motto Insorgiamo, mutuato dalla resistenza al nazifascismo, si fa tattica per uscire dal vertenzialismo di, su e nella fabbrica; per estendere la mobilitazione nei suoi tratti più generali volgendo l’attenzione su strategie padronali, posizioni istituzionali, e rifiuto dell’alienazione sul posto di lavoro e nella vita tutta. Anche qui, Insorgiamo, per essere mobilitazione capace di eccedere il particolare della vertenza, convergenza, per istituire rapporti di forza a supporto del conflitto sindacale e sociale.
GKN e SUDD Cobas
Così, Collettivo di fabbrica lavoratori – GKN e SUDD Cobas, ribaltano il piano della violenza e della repressione rompendo gli steccati sindacali. Democrazia e dignità prendono corpo nelle tende adibite a dormitori con gli operai studiano la lingua italiana con i solidali del SUDD Cobas per avere accesso alla vita sociale negata dopo lavoro; ai cancelli c’è la scoperta del tempo liberato dal lavoro. Le visite di lavoratori ed attivisti ai presidi in occasione di eventi sociali accendono i dibattiti su cosa succede nel mondo, soprattutto in contesti di guerra, spesso coincidenti con i propri luoghi d’origine.