Una Costituzione per trasformare la paura in partecipazione

La Carta fu scritta in nome della libertà non per soggetti astratti, ma per persone in carne e ossa
Possiamo percorrere le strade che vogliamo, ma è nella Carta la mappa del nostro cammino

 


Articolo tratto dal N. 27 di Aprile libera tutti Immagine copertina della newsletter

Il delicato processo di democratizzazione

Per i costituzionalisti i periodi di transizione alla democrazia costituiscono epoche affascinanti perché dense di aspettative per quanto riguarda l’attività costituente. L’adozione di una costituzione, infatti, è sempre esercizio di potere costituente originario, irripetibile, straordinario: una terra al confine tra il diritto e la società, tra il diritto e la politica; un tempo in cui quel confine risulta sbiadito, confuso, in cui i rapporti sono definiti più dalla forza che dalle regole.

Attenzione: non ho detto che ci troviamo di fronte a un tempo senza regole! Esse ci sono, ma non sono necessariamente il frutto di un compromesso o di un accordo; non è detto neppure che siano sostenute da consenso.
È possibile dire, semmai, che si tratta di una situazione in cui le regole e il diritto ci sono, ma la funzione ordinatoria nella società non è svolta solo dal diritto, dal momento che anche la forza (in alcuni casi degenerata in violenza) gioca un ruolo importante, al punto da poter affermare che, in questa fase, proiezione della realtà e aspirazione al futuro mantengono ancora uno stato gassoso e, come due sostanze aeree, si mescolano tra loro senza possibilità di distinguerle.

Tutto ciò vero, entusiasmo a parte, ogni costituzionalista è, pertanto, ben cosciente del fatto che proprio quelli di transizione sono tempi delicati e difficili, dal momento che per approdare a stabilità e democrazia bisognerebbe poter contare su un livello di consapevolezza e partecipazione attiva che non è sempre così scontato al termine di lunghi periodi di autocrazia o di esperienze di totalitarismo.

Quanto andiamo dicendo assume contorni paradigmatici se rapportato al caso italiano, affatto isolato in un’epoca in cui tutta l’Europa stava avviando processi di democratizzazione, aprendo la grande stagione del chiamato costituzionalismo democratico, ossia di un costituzionalismo che, confrontandosi direttamente con la società, pretende non solo di ordinarla, ma anche di trasformarla attraverso un processo di emancipazione che è lotta all’ingiustizia sociale. Lasceremo ad altra sede una riflessione sull’esito di queste intenzioni nei giorni nostri. Ora restiamo a quegli anni.

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana a palazzo Giustiniani, il 27 dicembre 1947.
27 dicembre 1947, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana a palazzo Giustiniani

La partecipazione come cuore della Costituzione

Nel 1946 si aprono e sono attive tante diverse esperienze di scrittura costituzionale: tratti di somiglianza che accomunano i percorsi di quei paesi che nello stesso periodo avviano una riflessione costituzionale non mancano, dunque, perché simili sono le difficoltà con cui tutti i testi costituzionali si scontrano, essendo chiamati a essere prima che fonti normative, documenti pedagogici, manuali d’istruzione per ricominciare ad agire nello spazio pubblico dopo anni di oppressione e guerra.
Questa vocazione in Italia prende forma anche attraverso gesti concreti come fu quello di depositare, per tutto l’anno 1948, presso la sala consigliare di tutti i Comuni della Repubblica, una copia del testo costituzionale lasciandolo a disposizione di chi volesse consultarlo.

Non c’è dubbio, dunque, che per comprendere l’esperienza costituzionale italiana non si possa prescindere dal più ampio panorama globale che condiziona fortemente l’attività di redazione dei costituenti; non di meno, questa non è che una faccia della medaglia. L’altra mostra l’esistenza di tratti che rendono peculiare il processo costituente italiano, contribuendo a renderlo un modello per tanti altri paesi.
In particolare, è nella traiettoria biografica dei costituenti che credo debba essere cercata la radice di quelle peculiarità, essendo essi al contempo padri e madri della Costituzione, ma anche figli e figlie della Resistenza. I presupposti per la nascita della Costituzione si danno a partire dall’azione, dalla partecipazione di coloro che hanno creduto possibile un futuro di libertà, diritti e democrazia.

La nostra Costituzione presuppone la partecipazione in quanto democratica, ma è democratica perché è profondamente umana. L’umanità della Costituzione è il risultato più diretto delle modalità con cui venne scritta. I costituenti sono uomini e donne che hanno contribuito alla storia del Paese e l’hanno fatto in nome della libertà degli italiani e delle italiane. Non in nome di un ideale patriottico; non in nome della visione romantica di nazione, bensì spinti dalla volontà di ridare dignità alle vite concrete di tante persone, di sottrarle alla paura, alla necessità, all’oppressione. Allo stesso tempo e come conseguenza diretta di quel che andiamo dicendo si tratta di un documento che non parla a uomini e donne astrattamente intesi.

È in questa prospettiva che deve essere letta l’attesa di partecipazione insita in Costituzione. Una partecipazione che non è mera retorica, ma chiama in causa uomini e donne con la quotidianità delle loro vite, dei loro affanni, progetti, aspettative; uomini e donne cui è stata consegnata quella Costituzione, che può essere paragonata a una bicicletta vecchio stile: per farla andare avanti bisogna darsi da fare, nessuna pedalata assistita; quando arriva la sera si può essere illuminati solo dalla luce di una dinamo, per cui se non si fanno girare le gambe si resterà al buio; niente cerchio tubeless e se fori ti devi fermare e prenderti il tempo per cambiare la camera d’aria e solo dopo ripartire.

È nell’assetto delle libertà che i costituenti hanno pensato che debba essere letto il grado di partecipazione che la nostra Carta presuppone. Siamo liberi di percorrere con la nostra bicicletta tutte le strade che vogliamo, con il rischio di vagare senza meta se ci dimentichiamo che la mappa del viaggio sta scritta nella nostra Costituzione.

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana a palazzo Giustiniani, il 27 dicembre 1947.

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