Pubblichiamo qui di seguito un estratto da Acqua come frontiera di Caterina Di Fazio, Fondazione Feltrinelli, Milano 2022, pp. 109-114.
Come abbiamo detto, la migrazione deve essere intesa come un fenomeno complesso, strutturato e intrinseco. Il fenomeno della migrazione, o più in generale, il fenomeno della mobilità umana, nella misura in cui è coestensivo con la vita e i flussi umani, non può essere affrontato con l’approccio attualmente utilizzato, quello emergenziale. Ridurre il fenomeno migratorio a una questione di sicurezza – sicurezza per chi? –, costruendo muri e ridisegnando i confini esterni dell’Europa, a Est come a Sud e nelle acque internazionali, significa anche ridurre drasticamente le nostre capacità di comprendere e di agire di conseguenza, nonché di intravedere in esso un’opportunità.
Per decostruire l’equiparazione “migrazione = sicurezza” e promuovere contro-narrazioni su xenofobia e discriminazione, è utile strutturare l’argomentazione su tre livelli. Il primo livello è il cosiddetto “telos” dell’Unione Europea, o “finalité politique”. Di fatto, le politiche e le pratiche migratorie nazionali spesso non sono coerenti con i principi teorici promossi dalle organizzazioni internazionali e intergovernative e con il cosiddetto telos dell’Unione Europea. Ora, a livello europeo, il principio alla base dell’istituzione dello spazio politico europeo è la libertà di movimento. A livello internazionale, il telos altrettanto importante sono i diritti umani. In altri termini, la narrazione europea e globale si basa su due pilastri principali: la libertà di movimento e i diritti umani (Di Fazio et al. unnm 2021a).
L’obiettivo della nostra ricerca è comprendere come i cambiamenti nelle rotte migratorie influenzino i modi in cui percepiamo lo spazio politico europeo e lo spazio transatlantico, e viceversa, o, per adottare le espressioni usate da Seyla Benhabib e Ayten Gundogdu, professoresse a Columbia University e nostre interlocutrici, i modi in cui i confini sono riconfigurati e stanno diventando sempre più “razzializzati”. È molto probabile che questo tipo di fenomeni che pas- sano inosservati aumentino nel tempo.
Se guardiamo a cosa accade concretamente – basta osservare l’impatto della recente legge italiana sull’immigrazione, analizzata nella seconda Parte – emerge in modo lampante il contrasto con il livello dei principi teorici (o telos) su cui si basano l’Unione Europea e la comunità internazionale. Le attuali politiche migratorie sembra ignorino il principio di co-dipendenza che lega indissolubilmente l’Unione Europea e gli “altri lati” dell’Europa: l’Est, l’Ovest e il Sud globale (Di Fazio et al. unnm 2021a).
Infatti, per proteggere la libertà di movimento nello spazio interno, l’area Schengen, l’Europa ha fortemente limitato la libertà di movimento attraverso i suoi confini esterni – il processo che abbiamo definito di esternalizzazione dei confini, o deterritorializzazione della sovranità. Le recenti politiche spesso non sono in linea con il principio di solidarietà, né con le leggi internazionali e marittime e con il rispetto dei diritti umani, con il risultato di criminalizzare le operazioni di salvataggio in mare invece di promuovere un passaggio sicuro e di vigilare sul rispetto dei diritti umani attraverso le frontiere esterne dell’Europa, e di non rispettare gli obblighi istituzionali, dando così spazio all’inazione istituzionale.
Se è vero che il fenomeno della migrazione e dei flussi umani e la questione del salvataggio in mare – che rimane un dovere – pur essendo interconnessi dovrebbero essere trattati separatamente, resta il fatto che il passaggio sicuro è essenziale per evitare le morti dovute all’attraversamento in acque internazionali. Senza l’attuazione di percorsi legali e sicuri per la migrazione continueremo a perdere vite umane attraverso le frontiere esterne e nelle acque del Mediterraneo e dell’Atlantico. Continueremo inoltre ad assistere alle conseguenze di politiche discriminatorie di gestione delle frontiere, che dovrebbero invece essere concepite in modo inclusivo, tenendo conto delle percezioni dei migranti e delle prospettive dell’“altro lato” dell’Europa, cioè dei paesi di origine e di transito. Oltre al fatto che la storia prima o poi richiederà un’assunzione di responsabilità, il cambiamento demografico in corso spinge gli Stati membri a confrontarsi con l’evidenza delle esigenze del mercato del lavoro europeo e a rispondere adeguatamente a questioni che stanno diventando sempre più pressanti. Le sfide legate al cambiamento demografico diventeranno probabilmente permanenti e strutturali rispetto al nostro sistema economico interno. A lungo termine, ciò richiederà un cambiamento di approccio, passando da soluzioni urgenti su misura a problemi impellenti a una progettazione politica a lungo termine ben strutturata che tenga conto delle esigenze del mercato del lavoro su entrambi i fronti (Di Fazio et al. unnm 2021a).
A livello politico, la mancanza di percorsi legali per la migrazione è un peso anche per il sistema di asilo. I migranti non hanno altra scelta se non quella di chiedere l’asilo, indipendentemente dal fatto che rientrino o meno nei “criteri” per il riconoscimento dello status di rifugiato, poiché questo è l’unico strumento che abbiamo messo a disposizione. Di conseguenza, le persone bisognose di protezione vengono lasciate sole e rimangono senza protezione internazionale. D’altro canto, come ha dimostrato la pandemia Covid-19, gli Stati membri non hanno risorse per garantire l’approvvigionamento alimentare (è il caso della Germania e dell’Italia, per esempio, nel settore agricolo) e sostenere il nostro “stile di vita europeo” senza i migranti. Questo rappresenterà una crisi “reale”, se guardiamo alle tendenze del cambiamento demografico. Tra gli attivisti e i ricercatori, convinti che i principi debbano essere la nostra linea guida per l’azione, come la Dichiarazione delle Nazioni Unite afferma chiaramente in relazione ai diritti umani, Kalypso Nicolaidis, professoressa a euI e Oxford, con cui collaboriamo da tempo, ci ammoniva però: “Dimenticate la carità, dimenticate i principi, la realtà è là fuori: abbiamo bisogno di loro” (Di Fazio et al. unnm 2021a).
In conclusione, arriviamo quindi all’ultimo passo della nostra argomentazione provvisoria – la realtà – che è la seguente: le attuali narrazioni dominanti hanno superato la realtà. Occorre dunque colmare il divario tra le politiche esistenti e la realtà, prendendo in considerazione la situazione che i migranti si trovano ad affrontare. È molto probabile che il ritorno alla realtà ci avvicini al primo livello, al telos dell’Unione Europea e a quello internazionale. Come avrebbe detto Jan Patočka dobbiamo riaffermare la non-evidenza della realtà (questo è il compito storico dell’umanità, secondo il filosofo ceco), cioè il modo in cui la realtà è attualmente percepita, comprese la xenofobia, la discriminazione e la creazione di un nemico. Per fornire un esempio dei modi in cui la realtà è stata invertita e ribaltata dalle narrazioni dominanti, le navi delle ong sono attualmente bloccate nei porti perché non sono “abbastanza sicure” per salvare le persone, mentre in migliaia stanno morendo in mare.
L’articolo 10 della Costituzione Italiana dice chiaramente: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”. Basterebbe quindi tornare alla nostra Costituzione e rispettare il diritto alla mobilità sancito dagli Articoli 13, 14 e 15 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Basterebbe infine approvare la Carta di Palermo, che propone l’abolizione universale del permesso di soggiorno: ogni essere umano dovrebbe poter scegliere dove vivere, in quanto non si ha nessun merito per dove si nasce, ed essere libero di muoversi su tutta la terra.
Rimodellare le narrazioni e contro-narrazioni della migrazione sulla base di dati reali è la chiave per comprendere e affrontare il fenomeno della mobilità umana in maniera adeguata, nella convinzione che un discorso pubblico basato sull’evidenza significherà anche un ripristino dei diritti umani e della libertà di movimento.