(Cesena 1884 – Podgora, Gorizia, 1915) critico letterario italiano. Formatosi alla scuola di G. Carducci, con il quale si laureò a Bologna con una tesi sullo Stile dei «Trionfi» del Petrarca (1904), risentì anche dell’insegnamento di F. Acri, alla cui lezione di estetica si ispirò in un saggio del 1910, Intorno al modo di leggere i greci, che sembra contenere la tesi a lui più congeniale circa l’«inaccessibilità» del concetto di bellezza. Dopo aver frequentato a Firenze un corso di perfezionamento presso l’Istituto di studi superiori (1907-08), S. ritornò a Cesena, dove nel 1909 ottenne l’incarico di direttore della Biblioteca Malatestiana.
Nella sua città visse in una solitudine discreta, dedicandosi a ricerche e letture che lo portarono a formulare, in articoli e saggi, un metodo critico basato sull’intuizione, sulla captazione fulminea e illuminante, sul personale coinvolgimento nella trama delle immagini e nel groviglio dei problemi esistenziali. Oltre agli studi dedicati a testi greci, a R. Kipling, a R. Rolland, a Ch. Péguy, si ricordano la Commemorazione di Giosue Carducci (1907), che testimonia anche il distacco generazionale dal maestro, e l’intervento Per un catalogo (1910), che – scritto a proposito del catalogo della collana «Scrittori italiani» di Laterza – mette a confronto il suo umanesimo con quello di B. Croce; ma resta soprattutto esemplare il suo Saggio sul Pascoli (1910), garbata ma ferma polemica contro la stroncatura crociana, e soprattutto indice di una capacità di lettura che assorbe e determina la sensibilità del critico spingendolo a identificarsi con i simboli e le situazioni della poesia.
A ciò si aggiunga il rapporto viscerale con il cielo e la terra «vera» di Romagna, il legame storico con i luoghi delle origini, e si avrà il profilo sconcertante di questo «lettore di provincia». S. contribuì alla svolta letteraria della «Voce» di G. De Robertis e diede con l’Esame di coscienza di un letterato (1915) un contributo drammatico alla riflessione degli intellettuali, lacerati non solo dal dubbio contingente fra neutralismo e interventismo, ma soprattutto dagli antichi e mai risolti problemi del rapporto fra vita e letteratura, che S. credette di risolvere attraverso una partecipazione istintiva al conflitto (nel quale sarebbe caduto) e la ricerca di uomini capaci «di vivere e di morire insieme anche senza saperne il perché», pur consapevole che la guerra non avrebbe contribuito a cambiare né uomini né cose, e tanto meno la letteratura. Tutte le sue Opere furono raccolte postume in 4 voll. (1919-23). Prima della morte uscì soltanto il saggio Le lettere (1914): è una breve «cronaca» in cui S. esprime giudizi su scrittori e libri del primo Novecento, un bilancio provvisorio ricco di spunti e fermenti critici, al di fuori di ogni sistemazione accademica o di «scuola».