«La realtà è superiore all’idea»
«La realtà è superiore all’idea», scrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. È un principio che andrebbe applicato anche al dibattito sulla sicurezza.
Le rilevazioni di IPSOS confermano che oggi la sicurezza è tra le massime priorità degli italiani: a livello nazionale è al terzo posto, dopo lavoro e sanità, mentre due anni fa era al settimo.
È una preoccupazione che “tiene” anche a livello locale dove resta al terzo posto, dopo lavoro e mobilità.
Un dato che suggerisce una prima evidenza: il bisogno di sicurezza non è un artificio politico, ma un’esigenza autentica.
Per comprenderla appieno serve uno sguardo più ampio, capace di leggere il contesto in cui questa domanda nasce e cresce.
Viviamo una fase di declino demografico, economico e culturale, in cui il futuro genera più paure che fiducia: oltre sei italiani su dieci ritengono che la società sia ormai guasta, più di tre su quattro pensano che i giovani avranno un futuro peggiore dei genitori e circa il 70% crede che sia meglio non fidarsi degli altri.
Ciò che avanza è un sentimento di insicurezza profondo, che intreccia nuove solitudini, fragilità sociali e perdita di riferimenti. L’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle situazioni di non autosufficienza e la fatica crescente delle famiglie restituiscono l’immagine di una società stanca, dove la paura del futuro nasce anche dalla sensazione di essere rimasti soli a portare tutto sulle proprie spalle.
Povertà e comunità in declino
Anche il contesto collettivo incide. I gilet gialli in Francia non erano i più poveri, ma coloro che vedevano le proprie comunità in declino. Le disuguaglianze territoriali, infatti, contribuiscono a spiegare diversi eventi politici degli ultimi anni, efficacemente descritti come la rivincita dei luoghi dimenticati. Fenomeni diversi, uniti dallo stesso filo rosso: la perdita di fiducia nel futuro.
Questo smarrimento si amplifica nei più giovani. Cresciuti nel tempo della policrisi, con reti sociali sempre più precarie, sperimentano una profonda insicurezza esistenziale.
Nei casi più problematici, la difficoltà di riconoscere la propria fragilità e l’ansia da prestazione degenerano in una visione delle relazioni come rapporti di forza, dove la paura di soccombere porta ad attaccare per primi. La violenza e l’aggressività vengono così normalizzate. Il mito della forza non torna solo nelle relazioni internazionali, ma anche nella vita più vicina a noi. E si riflette nell’aumento dei reati più “visibili”, quelli che si manifestano negli spazi pubblici e che, pur rappresentando solo una parte del totale, hanno un impatto immediato sul senso di insicurezza collettiva.
In tempi del genere, non sorprende la forza di messaggi politici che attivano antichi riflessi rassicuranti: dalla politica della nostalgia, incarnazione del laudator temporis acti oraziano, a quella dell’identità, che offre rifugio nell’idea di tribù. Entrambe costruiscono un’illusione di sicurezza, negando il cambiamento.
Cambiare la prospettiva sulla sicurezza
Proprio questa chiusura caratterizza la risposta securitaria delle destre: scava trincee in cui ci si sente protetti solo perché si è isolati. È la logica della torre di Rapunzel, rinchiusa “per proteggerla”: una sicurezza che promette salvezza ma diventa prigionia.
La sicurezza, però, è un concetto poliedrico, nello spazio e nel tempo. Con una metafora, potremmo dire che è una value chain complessa, fatta di molti anelli, ognuno con logiche e tempi diversi.
E così, il dibattito politico si polarizza: chi si concentra sulla repressione è uno “sceriffo”, chi guarda alle cause sociali è un “buonista”.
E con risorse limitate, la competizione tra i diversi “anelli” tende ad acuire lo scontro, rendendo più difficili soluzioni davvero integrate, anche tra livelli di governo.
Alla risposta securitaria della destra, la sinistra ha spesso contrapposto un vuoto: ha faticato a elaborare una propria proposta.
Il peccato originale è stato credere che la sicurezza derivasse soltanto dal progresso sociale e dai diritti. In realtà è un ciclo: la sicurezza è la precondizione della libertà, il terreno su cui possono crescere diritti, sviluppo e fiducia nel futuro che, a loro volta, rafforzano la sicurezza.
Vale anche sul piano internazionale: la difesa, intesa come garanzia della pace, è una condizione necessaria per poter esercitare libertà, democrazia e giustizia sociale.
Ecco perché serve un ribaltamento della prospettiva. La sinistra deve proporre una visione della sicurezza come possibilità: tranquillità, apertura, libertà di vivere senza paura.
Una sicurezza che non separa ma protegge. Un concetto dinamico, che riconosce come la vulnerabilità possa cambiare di volta in volta: il “forte” e il “debole” si scambiano di ruolo, e la società deve essere in grado di proteggere entrambi.
La vera sicurezza è quella che tutela tutti, garantendo a ciascuno la serenità di sentirsi parte della comunità.
Se la destra propone una “sicurezza da” – dalle minacce, dagli altri, dal cambiamento – la sinistra deve proporre una “sicurezza per” – per vivere, per costruire, per il futuro.
Non è tanto una questione di ricette, su cui le idee non mancano: dalla valorizzazione delle forze dell’ordine alla riqualificazione urbana, fino alle misure sociali per aggredire le cause di solitudini e disagi. È prima di tutto un cambio di mentalità, per uscire dall’inversione dell’ordine logico tra sicurezza, libertà e progresso. Un cambio di narrazione – tornare a dire cosa la sicurezza è davvero: rispetto delle regole, libertà, giustizia – e, nei margini di manovra di chi amministra, un cambio di approccio, favorendo piani integrati e superando la logica dei compartimenti stagni. Così la sinistra potrà riappropriarsi di un concetto che le è sempre appartenuto.