Una patrimoniale verde per combattere le disuguaglianze


Articolo tratto dal N. 57 di Fuori mercato: oltre la morsa del capitalismo Immagine copertina della newsletter

In Italia le disuguaglianze stanno crescendo. L’1% più ricco della popolazione si appropria del 12% del reddito nazionale e detiene il 22% circa della ricchezza complessiva (Fonti: wid.world, Guzzardi et al. 2024, Acciari et al. 2024). In questo contesto, emerge un dato allarmante: considerando l’insieme delle imposte e delle tasse, il principio di progressività sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana è oggi violato. Il sistema fiscale italiano, infatti, è solo debolmente progressivo e diventa addirittura regressivo per il 7% più ricco dei contribuenti. Il risultato è che le 50.000 persone più ricche (lo 0.1% della popolazione) versano in media il 32% del loro reddito in imposte, contro circa il 45% pagato dal resto della popolazione. Un divario dovuto in parte alla maggiore tassazione del lavoro e all’esclusione dei redditi da capitale dall’IRPEF. L’Italia non è un’eccezione: la progressività è assente anche in Stati Uniti, Francia, Paesi Bassi, Norvegia e Brasile.

Un sistema iniquo 

Questa iniquità del sistema fiscale risulta ancora più problematica in un periodo storico segnato da sfide globali che richiedono ingenti risorse pubbliche — come il cambiamento climatico e la transizione ecologica — strettamente connesse alla questione della disuguaglianza.

Infatti, i cambiamenti climatici comportano impatti maggiori sui Paesi a basso reddito e colpiscono in misura maggiore le fasce meno abbienti all’interno dei singoli Stati, compresa l’Italia. Questa asimmetria negli impatti ha già aumentato le disuguaglianze e rischia di aggravarle ulteriormente in futuro. Inoltre, i Paesi e le persone più vulnerabili hanno contribuito meno alle emissioni. 

Le responsabilità, infatti, non sono distribuite equamente. Se è vero che oggi la Cina rappresenta il principale emettitore, considerando le emissioni storiche Stati Uniti ed Europa restano i maggiori responsabili. Anche all’interno dei singoli Paesi, le fasce più ricche producono più emissioni.

L’esempio dei miliardari è emblematico: i due jet privati di Jeff Bezos, con 25 giorni di volo all’anno, producono una quantità di emissioni pari a quella che un dipendente Amazon genererebbe in 207 anni. In una nostra ricerca in corso con K. Bua, M. Coronese, F. Lamperti, C. Marino e A.

Roventini, stimiamo che, sulla base della composizione della loro ricchezza, alcuni miliardari emettono circa 646.000 volte più CO₂ di una cittadina media. Di fronte a simili proporzioni, è difficile sostenere che manchino risorse e strumenti per finanziare una transizione verde e inclusiva.

Da dove cominciare? L’idea della patrimoniale verde 

L’economista francese Gabriel Zucman ha proposto al G20 di Rio de Janeiro una tassa minima del 2% sui patrimoni dei centimilionari. Il meccanismo è semplice: chi già paga imposte equivalenti ad almeno il 2% del proprio patrimonio non deve nulla; chi paga meno, versa la differenza. Anche in Italia oltre 150 economiste ed economisti hanno sottoscritto un Manifesto che propone un pacchetto di misure che include una patrimoniale mirata ai super-ricchi, l’ampliamento della base imponibile IRPEF e un incremento delle imposte di successione.  

Nel lavoro che stiamo sviluppando, menzionato sopra, analizziamo inoltre una patrimoniale progressiva sul carbonio che colpisce simultaneamente la ricchezza e le emissioni estreme.

Secondo le nostre stime, applicata ai 501 miliardari più ricchi del mondo, questa misura genererebbe più di quanto raccolto dalle attuali politiche globali di prezzo del carbonio, con aliquote dell’1, 2 e 3% a seconda della quantità di emissioni nei portafogli di investimento.

Una misura di questo tipo permetterebbe di raggiungere tre obiettivi: ridurre le disuguaglianze, disincentivare gli investimenti insostenibili e generare risorse per finanziare la transizione verde o compensare i Paesi più colpiti dagli impatti climatici, in linea con gli impegni assunti alla COP29 di Baku. Non rappresenta una soluzione definitiva, ma dimostra che la giustizia fiscale e quella climatica possono procedere insieme.