Di questi crudi anni di guerra a Gaza non si ricorderà – nonostante il sentimento dominante fosse quello della solidarietà verso la causa palestinese -, la mobilitazione dei regimi e delle piazze arabi. Sorprendente? Affatto! Al di là della condivisione di un comune sostrato etnico, culturale, religioso, i paesi arabi hanno interessi diversi. Da questo punto di vista, la loro trasformazione in stati nazionali ha prodotto effetti certi.
Il panarabismo resta un vago ricordo – se non una “sbandata” ideologica del passato che nessuno rimpiange-, soprattutto per i nati dopo gli anni Settanta: dunque, per buona parte della popolazione e dei gruppi dirigenti attuali. Così l’equazione Israele-colonialismo che consentiva di sostenere la causa palestinese sino a imbracciare le armi. La posizione dei Paesi arabi è mutata dalle quattro guerre arabo-israeliane, dalle tensioni del “Settembre nero giordano” del 1970, dagli sviluppi della guerra civile libanese nel 1982.
Palestina: un fattore destabilizzante per i paesi arabi
Progressivamente, i palestinesi sono stati percepiti, dai regimi della regione, come “forieri” di guai. In particolare, da quelli dei paesi che ne hanno accolto un numero consistente dopo la Nakba, la “catastrofe” del 1948. Quando, mezzo secolo dopo, con il tracollo dell’Urss e la vittoria degli Usa come potenza globale, il panorama mondiale muta e la minaccia islamista si salda alla questione palestinese nelle vesti di Hamas o della Jihad islamica, gruppi alla Fratellanza musulmana e all’Iran, vengono definitivamente lasciati a sé stessi.
Già ai tempi del vertice della Lega araba a Rabat, nel 1974, che riconosceva l’Olp come unico e legittimo rappresentante dei palestinesi, i paesi arabi si erano liberati da ogni responsabilità nei loro confronti. Allontanamento accentuato in seguito da altri due fattori: la minaccia alla stabilità dei regimi portata dalla crescita di movimenti , come quelli islamisti, ritenuti più pericolosi di Israele, come lo stesso Hamas e Hezbollah; la deflagrazione delle cosiddette “primavere arabe” che, a partire dalla fine delle prima decade del nuovo secolo, conducono al collasso, o aggravano la crisi, di regimi nazionalisti come quello egiziano, siriano, libico e investono altri paesi della Mezzaluna , conducendo, temporaneamente, al potere in Egitto e Tunisia le appendici locali dei Fratelli Musulmani. Sviluppi scioccanti che inducono i regimi arabi, in riva Mediterraneo come nel Golfo, a cercare protezione negli Usa, opzione destinata a tradursi in un più conciliante rapporto con Israele in nome della lotta ai comuni nemici.
La “questione palestinese” dopo il 2023
La guerra a Gaza iniziata nel 2023, con le sue implicazioni regionali, costringe , però, i regimi arabi a ri-pensare la questione palestinese. Anche se, ancora una volta, è la necessità di stabilità a indurli, loro malgrado, a esplorare possibili soluzioni per il dopo guerra. A partire dal rifiuto dell’obiettivo del governo di estrema destra israeliano, e dal trumpismo in versione immobiliare, di favorire l’esodo forzato della popolazione palestinese dalla Striscia verso Egitto e Giordania, e procedere all’annessione di Gaza e larga parte della Cisgiordania.
Da qui il piano, nato su impulso egiziano ma condiviso dalla Lega Araba, considerato l’ultima spiaggia per evitare la deflagrazione altrove della questione palestinese. Piano fondato su capisaldi come l’intangibilità dei territori della Striscia e della Cisgiordania e l’accettazione di un periodo di transizione destinato a sfociare nel passaggio del potere all’Anp. Ipotesi che , in campo palestinese, ha il consenso di Anp e , a certe condizioni, di Hamas, che , per sopravvivere, deve rinunciare a giocare un ruolo dirigente a Gaza e aderire all’Olp, passaggio che implica l’accettazione del principio dei “ due stati” , fatto proprio nel 1988 dall’organizzazione allora guidata da Arafat con l’apertura a una soluzione del conflitto israelo-palestinese fondata su quella formula.
Una missione quasi impossibile, visti i “venti punti” del piano Trump, che ha accolto molte delle istanze di Netanyahu e pare allontanare, in un tempo indefinito, ogni realistica ipotesi dello stato della Palestina, ma che i paesi arabi hanno tentato di mettere nel piatto anche nel tentativo di evitare che la violenta riemersione dell’annosa questione palestinese si riproponga come destabilizzante incubo.