Alla base della crisi delle nostre democrazie c’è la convinzione che la politica sia impotente. Succube, peggio, specie di fronte all’economia: al grande potere tecnologico e finanziario che si concentra in poche mani, nella casta di ultramiliardari che per inerzia vede crescere la propria quota di ricchezza e paga, in percentuale sul proprio reddito, meno tasse di chi lavora. Ma davvero la politica non può fare nulla?
Nuovo capitalismo di Stato e l’impotenza della democrazia
Quella non democratica, a ben vedere, non è impotente. In Occidente, i neo-autocrati o aspiranti tali hanno stretto un’alleanza con i magnati dell’economia, di mutuo interesse, a scapito della maggioranza dei cittadini – e a scapito della nostra libertà. Le destre reazionarie e nazionaliste danno forma così a un nuovo Leviatano, un nuovo mostro totalizzante, fatto di simbiosi con il potere tecnofinanziario (a partire da «difesa» e «sicurezza») e di barriere protezioniste. Dentro i confini, continuano a favorire i più ricchi e a destrutturare il welfare e l’istruzione, facendo credere ai ceti popolari che il problema siano le minoranze e gli immigrati. Mentre fa aumentare le disuguaglianze, la nuova destra crea così un nuovo capitalismo di Stato, a base militare, e un nuovo intervento pubblico, che accentua la conflittualità globale. E toglie i diritti.
A essere impotente è invece la politica democratica. Che infatti perde le elezioni. Perché non riesce ad affrontare il punto fondamentale: cambiare l’attuale sistema economico, innanzitutto riducendo le disuguaglianze. Solo se il campo progressista sarà credibile su questo punto, potrà tornare ad avere il favore delle classi popolari; una cui parte consistente è andata a destra anche perché non crede più che le tradizionali forze di sinistra, in Europa come in America, siano in grado di ridurre le disuguaglianze (e quindi vota per chi propone di prendersela con chi sta peggio).
Correlato, ce un altro dato che pure deve essere compreso a fondo, anche dal punto di vista culturale: l’idea di un mercato in grado di autoregolarsi si è rilevata, definitivamente, un’illusione. Nociva, per giunta, pericolosa: perché il neo-liberismo ha fatto aumentare le disuguaglianze, portando anche alla crisi della democrazia, e sta distruggendo l’ambiente.
Occorre quindi recuperare la visione, le ragioni e gli strumenti dell’intervento pubblico, da affiancare al mercato e anche al terzo settore, in direzione di grandi obiettivi condivisi: la garanzia dei diritti e delle libertà, la sanità e l’istruzione, l’innovazione, la salvezza dell’ambiente, la riforma dell’ordine internazionale per promuovere la cooperazione internazionale e con essa la pace.
Economia critica: proposte per il cambiamento
Di questo discutiamo al secondo Festival dell’economia critica ospitato dalla Fondazione Feltrinelli il 10 e l’11 ottobre, con esperti nazionali e internazionali. In Italia se ne parla poco, troppo poco, ma il dibattito nel mondo in questi anni si è molto arricchito di idee e proposte concrete, e incisive, per cambiare l’attuale modello economico nella direzione auspicata.
Queste proposte devono essere fatte proprie da una politica più coraggiosa, consapevole, preparata. Una politica democratica e libera, che sappia di nuovo rendersi utile ai cittadini. E che in questo modo, proprio a partire dall’economia (che ne è il cuore), sappia anche ridefinire un orizzonte ideale, una visione di solidarietà e di progresso da contrapporre al messaggio – spaventoso – delle nuove destre.
Beninteso, affinché questo avvenga occorre cambiare anche le regole della politica, dalle modalità di finanziamento alle leggi elettorali, agli assetti istituzionali; e ingaggiare una grande battaglia culturale nella società. Il Festival dell’economia critica contribuisce a questa battaglia. È la premessa per una politica progressista che torni a credere nella sua missione essenziale, senza la quale non ha ragione di esistere: governare lo sviluppo economico e tecnologico per indirizzarlo al benessere e ai diritti, non all’oppressione e alla distruzione del Pianeta.