Ciò che nuoce al lavoro nuoce all’economia 


Articolo tratto dal N. 54 di Il capitalismo nuoce gravemente Immagine copertina della newsletter

La crisi del modello globale

Le crisi internazionali, le difficoltà in campo economico, l’Intelligenza Artificiale che avanza, la crescita delle multinazionali oramai incontrollata, i lavoratori che arrancano con stipendi non adeguati al costo della vita, un sindacato che appare impotente dinanzi all’erosione del potere collettivo dei lavoratori, pongono gli osservatori che si occupano di analizzare i temi del lavoro e della politica internazionale, dinanzi a sfide che non possono più rimandate. Siamo in una nuova era della globalizzazione che il tradizionale approccio macroeconomico non è più in grado di spiegare. 

Che il neoliberismo sia stato dannoso per i lavoratori di tutto il mondo è oramai un fatto ben noto e anche se il fenomeno sia stato già abbondantemente discusso e censito, la sua componente più letale non è stata ancora messa in discussione e rischia di farci schiantare in un’altra pericolosa crisi economica e finanziaria. Il cuore del neoliberismo risiede infatti nella convinzione che produttività e competitività siano parametri economici validi e affidabili e che l’idea di impresa e di mercato assunti come modelli siano immutabili. 

L’attuale struttura dei mercati, quindi anche il modello di sviluppo delle multinazionali su scala globale, rendono di fatto arbitrari questi e altri parametri, sebbene i governi continuino a farne largo uso per definire la politica economica. Gli obiettivi impossibili sono in genere quelli più pericolosi. 

Multinazionali, tecnologia, diseguaglianze

Lo studio delle multinazionali è destinato ad assumere un ruolo centrale nel dibattito economico, giuridico e politico, sia per la notevole e crescente influenza che queste esercitano negli scambi internazionali e nelle dinamiche dei mercati interni, sia perché la struttura della comunità internazionale che si sta delineando a partire dalla crisi del 2007 mostra una tendenziale convergenza tra governance pubblica e corporate governance, nel senso di una vera e propria ingerenza degli investitori privati nel governo pubblico degli stati.  

Le nuove catene di produzione globali (GVC, global value chains o global supply chains) hanno determinato un nuovo assetto della divisione internazionale del lavoro dove la tecnologia, specie nella sua versione più evoluta nota come Intelligenza Artificiale, svolge un ruolo determinante nell’amplificare esponenzialmente la concentrazione del potere economico e finanziario nelle mani di pochi. 

Attraverso uno studio che integra diverse discipline, si intende dimostrare che il Gruppo di società dà luogo a un modello di sviluppo delle multinazionali, oramai dominante, capace di tradursi in un importante fattore di destabilizzazione dei mercati economici e finanziari, nonché un ingranaggio essenziale della macchina della diseguaglianza sociale del XXI secolo. 

Per comprendere sino in fondo l’importanza del fenomeno, è necessaria una modifica della prospettiva d’indagine, che sembra azzardata ma non lo è affatto, maturata non soltanto appunto attraverso studi interdisciplinari tra diritto ed economia – la cui interconnessione è imprescindibile – ma in special modo con l’esperienza sul campo, quello dove il capitale è più o meno costretto a giocare a carte scoperte: le vertenze di lavoro come principale campo di studi dell’economia globalizzata. 

Verso una nuova teoria del lavoro 

Attraverso questa modalità d’indagine si intende proporre una nuova teoria economica e giuridica (dell’Economia apparente a contraente unico) in grado di dimostrare come le multinazionali siano in grado di alterare l’idea di scambio e l’idea di impresa assunte come paradigmatiche dalla scienza economica e dal mondo politico, con conseguenze a cascata sulla identificazione dei fattori sottostanti, quali appunto produttività e competitività, ma anche profitto, salari e valore aggiunto, per citarne qualcuno.  

In tale modello economico inedito, gioca un ruolo fondamentale l’innovazione tecnologica, che non soltanto standardizza il lavoro rendendo i dipendenti sempre più interscambiabili e privi di know how, ma consente controlli a distanza di attività e personale prima nemmeno immaginabili. 

Per le multinazionali, la leva normativa combinata con la leva tecnologica hanno un altissimo potenziale di espansione. 

Il mondo del lavoro è uno straordinario campo di osservazione capace di svelare verità difficilmente accessibili. 

Le vertenze di lavoro, infatti, spinte da intuizioni scientifiche, si stanno rivelando un vero e proprio punto di svolta nello studio del capitalismo del XXI secolo, capaci di mettere in luce distorsioni e paradossi economici che sono invero caratteristiche strutturali della nuova globalizzazione e della sua crisi. 

Sotto il profilo scientifico e sociale sono state rivelatrici, per esempio, le ingenti operazioni di outsourcing realizzate da Telecom Italia su cui quasi vent’anni fa realizzai un dossier con decine di sentenze della magistratura del lavoro, che ho potuto analizzare grazie alla collaborazione con una organizzazione spontanea di lavoratori sul territorio nazionale. Molto più recente la vertenza del Monte dei Paschi, pure questa arrivata sino in Cassazione, più in particolare sulla cessione di più di mille lavoratori nell’ambito del back office, che ho seguito personalmente come esperta e consulente, dove si può chiaramente comprendere qual è il ruolo effettivo che la tecnologia gioca nella redistribuzione della ricchezza tra capitale e lavoro. 

Attenzione, questi sono solo dei casi famosi poiché sfociati in cause di lavoro, ma è impressionante quanto il fenomeno in sé caratterizzi l’economia mondiale e quindi anche l’economia nazionale. 

Non è un caso che le più importanti organizzazioni internazionali, quali il FMI, l’OCSE ma anche la stessa UE, stiano dedicando parecchia attenzione a censire il fenomeno degli scambi commerciali intrafirm, che sono appunto la base dello studio proposto.