La doppia natura della menzogna: chi la crea e chi la accoglie
La menzogna – scriveva Hannah Arendt nelle pagine di esordio del suo La menzogna della politica – ha due lati: riguarda sia chi la produce sia chi la riceve.
Chi la produce riesce a imporre la sua versione; chi la riceve conferma le idee che il primo propone.
Chi produce la menzogna costruisce la sua comunicazione su due fattori.
- Governa ciò che dice e dunque costruendo la menzogna fa in modo di non incorrere nell’errore, nella contraddizione, nell’imprecisione. In breve, costruisce un testo coerente.
- Ha il vantaggio di sapere in anticipo quello che il pubblico desidera o si aspetta di sentire. Per questo le menzogne sono spesso più plausibili, più ragionevoli della realtà stessa.
Ma perché chi riceve la menzogna a lungo non chiede ragione? Sottolinea Arendt che questo avviene perché è disposto ad accogliere la versione che gli viene fornita, in relazione alla tranquillità che cerca. In breve: perché si accontenta e non si fa domande.

Dalla politica alla spoliticizzazione: il patto implicito del potere
Negli anni ’40, nel tempo in cui con lentezza iniziava a prendere forma il suo quaderno di lavoro di Le origini nel totalitarismo, Hannah Arendt scrive Waldemar Gurian:
Considero la politicizzazione totale la completa spoliticizzazione dell’uomo, che ha perso la consapevolezza del citoyen: l’affare del singolo è affare di tutti.
È proprio l’individuo completamente isolato, ben consapevole che nobody cares, l’individuo delle masse, ad aspettarsi che il dispotismo regoli le sue faccende personali e a disinteressarsi delle questioni pubbliche: Hitler o Stalin lo sanno meglio di tutti.
Nelle mastodontiche organizzazioni degli stati totalitari, la gente è garantita dal punto di vista economico e sollevata da ogni responsabilità. [n Thomas Meyer, Hannah Arendt. Una vita filosofica, Feltrinelli, p. 199].
Quel patto di governabilità non riguarda solo le esperienze totalitarie ma è proprio di tutti i sistemi politici – indipendentemente dalla natura del sistema politico.
Il contratto su cui si definiscono è la firma concordata di un patto che chiedono ai propri amministrati: mi assumo la responsabilità di darti tranquillità; tu delegami a rappresentarti. Fidati.
Ciò significa che la menzogna dovrebbe essere vissuta da chi la scopre prima di tutto come l’analisi del proprio comportamento non perché irresponsabile o disattento, ma in quanto deresponsabilizzato, perché fondato su uno scambio: tu potere mi togli il peso della responsabilità e del controllo, io in cambio ti firmo una cambiale in bianco.

Il ciclo che si ripete: fiducia, tradimento e nuova delega
Un profilo che Antonio Tabucchi ha descritto senza girarci intorno in una pagina di Tristano muore (Feltrinelli) quando riflette sulla natura vera del tradimento che, dice, “è non avere limiti” e poi una volta che si tratta di ritornare sul passato per tirarsi fuori dall’imbarazzo ritira fuori la solita storia: “non ha fatto finta di niente, se c’era dormiva o guardava alle vette dell’arte, allori, allori in alto i cuori” [p. 99]
È sempre difficile essere così impietosi con se stessi e riconoscere che e dunque tutte le volte che emergono menzogne il controcanto è la filastrocca del popolo ingenuo ingannato, della necessità di reimpossessarsi di ciò che era stato sottratto e delegato o affidato a mani infide.
Quella cosa così preziosa, ovvero la fiducia, è allora presentata come non gestibile e dunque la soluzione sembra accreditarsi come l’assunzione in prima persona della responsabilità senza delega.
Quanto dura? Poco. Al primo ostacolo, torna la tentazione di trovare una persona fidata (perché senza potere, perché “pulita”, perché è un amico e so chi è, …) e così quel patto si ripresenta e, conseguentemente, si rinnova. Ecco ci risiamo.
Conclusione: la menzogna ha delle regole. La regola è la stabilità e la ripetitività, altri direbbero l’inossidabilità del gioco dell’oca.