Libertà dal lavoro, libertà nel lavoro 


Articolo tratto dal N. 58 di Il lavoro ci (s)finisce Immagine copertina della newsletter

In Vita Activa, Hannah Arendt ripropone, in versione contemporanea, una visione del lavoro di origine classica: un’attività animalesca, da ridurre al minimo e confinare alla sfera privata. L’idea del lavoro come negazione della libertà, infatti, rappresenta uno dei fondamenti storici dell’Occidente.

Che si guardi all’antica Roma o all’antica Grecia, il pensiero, la politica e l’arte erano riservati a coloro che non dovevano lavorare per vivere. Un disprezzo per il labor che sembra oggi godere di inedita popolarità, soprattutto tra quelle fasce della popolazione – giovani in primis – che non godono di un lavoro con sufficienti tutele e garanzie di stabilità. D’altronde, se il lavoro ci maltratta, perché dovremmo amarlo? Ma soprattutto, come possiamo immaginarci liberi e felici in un contesto dove siamo subordinati e precari per legge? 

L’utopia di un mondo senza lavoro e le profezie sulla sua fine esistono da quando esiste l’umanità. La cattiva notizia, secondo Marx, è che di lavoro ce ne sarà sempre, anche nel più socialista dei mondi possibili. Non possiamo non interessarci del lavoro perché il lavoro non smetterà di interessarsi di noi.

Quella buona è che il lavoro, se concepito come istanza universale, può liberare energie trasformative ed essere spazio di autorealizzazione e di una libertà tanto individuale, quanto collettiva. I principali lavori di filosofia del lavoro – disciplina non ancora formalmente riconosciuta, ma comunque indispensabile – esplorano il rapporto tra libertà e lavoro attraverso due direttrici principali.

Ridare umanità al lavoro 

Qual è un modo di lavorare veramente umano? Questa è la domanda che Simone Weil, forse la più importante filosofa del lavoro della sua epoca, si pone verso la fine del Diario di Fabbrica, e che oggi ritorna al centro del dibattito sul decent work.

La democratizzazione del lavoro, condizione sine qua non per una sua umanizzazione, non è comunque sufficiente: anche nei contesti di lavoro formalmente più democratici e orizzontali si possono fare strada forme alienanti di organizzazione del lavoro. L’obiettivo è costruire ambienti di lavoro che stimolino e avanzino una concezione collettiva della libertà, favorendo l’agency dei lavoratori e limitandone assoggettamento e uniformità. 

Un problema ancor più rilevante nell’epoca della transizione digitale, dove è anche necessario chiedersi, sia da un punto di vista tecnologico che etico, quali sono i lavori che le macchine non possono e non devono poter fare. La relazione tra macchina e lavoro scadente è di natura etimologica: la parola “robot” – usata per la prima volta dallo scrittore Karel Čapek per definire indicare automi condannati a lavori da schiavi – deriva dal lemma ceco “robota”, ovvero “lavoro pesante o forzato”.

Ridare senso al lavoro 

 In quella che Umberto Galimberti ha definito come “età della tecnica”, ridare senso al lavoro diventa un’aspirazione rivoluzionaria, per citare Thomas Coutrot e Coralie Perez. 

Quando David Graeber, anticipando di qualche anno il dibattito accademico contemporaneo, iniziò a parlare di bullshit jobs, colse un problema fondamentale: l’epidemia di lavori senza senso, anche tra quelli ben retribuiti e formalmente tutelati. 

Che piaccia o no, il lavoro continua ancora a mantenere una forte centralità nella vita della grande maggioranza delle persone, sia in termini di rilevanza soggettiva che di ingombro temporale, ma al giorno d’oggi sembra essere sempre più difficile dotarlo di un senso che ecceda la mera retribuzione (cifra minima affinché un’attività possa definirsi “lavoro”).

Se “lavorare meno, lavorare tutti” continua ad essere uno splendido programma di riscatto dell’otium, la ricerca di una libertà nel lavoro rappresenta una battaglia politica altrettanto necessaria e non rimandabile, e continuerà a farlo anche in un mondo – che speriamo venga presto – di settimane corte, lavori non scadenti e salari dignitosi. Lavorare meglio, lavorare tutti.