Giustizia fiscale alla francese: chi paga il debito?


Articolo tratto dal N. 54 di Il capitalismo nuoce gravemente Immagine copertina della newsletter

Crisi economica e politica in Francia

Dopo anni di spese e disuguaglianze crescenti, la Francia affronta il nodo del debito e della redistribuzione. 

Considerata l’eden dei diritti dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati, la Francia attraversa una crisi politica ed economica senza precedenti. Paralizzato, polarizzato e indebitato, il Paese è ingovernabile: negli ultimi due anni si sono succeduti sei premier, privando la Francia di un esecutivo per quasi 90 giorni. 

In balia di un Parlamento fratturato in tre grandi blocchi, incapaci di andare d’accordo, i cittadini hanno perso la speranza nelle istituzioni: solo il 26 % dei francesi dichiara di avere fiducia nella politica, rispetto al 47% in Germania e al 39% in Italia.1

A completare questo quadro tutt’altro che roseo, un debito pubblico da 3.430 miliardi di euro2: un “Himalaya da scalare”, secondo le parole di François Bayrou, una “spada di Damocle”, secondo quelle di Michel Barnier. 

Entrambi gli ex primi ministri hanno fatto della riduzione del debito il cuore della propria politica. Risultato: due dei governi più brevi e impopolari della storia, scanditi da scioperi e manifestazioni. Nessuno di loro è riuscito a rispondere alle richieste più urgenti dei francesi: aumentare gli stipendi, abbassare il costo della vita e migliorare i servizi pubblici.

I 1.000 miliardi di debito di Macron 

Da 50 anni la Francia spende più di quanto guadagna, ma gran parte del gigantesco debito su cui giace il Paese, si è accumulato nel corso degli ultimi sette anni: 1.000 miliardi di euro durante la presidenza di Macron3 

La pandemia del Covid-19 e l’aumento dei prezzi dell’energia dopo l’invasione russa dell’Ucraina pesano, sul piatto della bilancia, almeno quanto la politica fiscale del presidente: l’abolizione della patrimoniale – l’impôt de solidarité sur la fortune (ISF) – decisa all’inizio del primo mandato, i tagli alle tasse mascherati da aiuti alle imprese e un reindirizzamento delle entrate dall’IVA dai servizi pubblici ad altre voci di spesa. 

Se è vero che, nel frattempo, la ricchezza della Francia è cresciuta del 30%, il rapporto debito/PIL, è salito dal 101% al 114%. Un livello preoccupante.4
La riduzione del deficit è la priorità”, concordano gli economisti Simon-Pierre Sengayrac, specialista delle finanze pubbliche alla fondazione Jean Jaurès – laboratorio d’idee vicino al Partito socialista e professore all’università Paris Dauphine – e Jérôme Creel, direttore di ricerca all’Osservatorio francese della congiuntura economica (Ofce), organismo indipendente di valutazione delle politiche pubbliche. 

La “Tassa Zucman”: una misura di giustizia fiscale 

Per ridurre il deficit, le possibilità sono due: tagliare le spese o aumentare le ricette, ovvero le tasse. Tra queste, una in particolare domina il dibattito pubblico: la “tassa Zucman”, dal nome dell’economista che la propone, Gabriel Zucman.  

Il principio è semplice: un prelievo del 2% per chi ha un patrimonio (finanziario e immobiliare) superiore ai 100 milioni di euro, nel caso in cui la persona dovesse versare al fisco meno contributi rispetto a quel valore. Questo perché la pressione fiscale cresce fino al 46% per lo 0,1% più ricco del Paese, poi, grazie a ottimizzazioni fiscali e holding familiari, il tasso d’imposizione dei più ricchi crolla al 26%.5

Per Zucman e l’86% dei francesi6 che sostiene la misura, si tratta quindi di un gesto giustizia fiscale, grazie a cui lo Stato potrebbe guadagnare fino a 20 miliardi di euro all’anno.  

È normale chiedere uno sforzo ai più benestanti: sono i principali beneficiari della politica di Macron e la loro ricchezza è esplosa dopo la pandemia con la valorizzazione delle Borse”, sostiene Sengayrac. Un terzo motivo per tassare i più ricchi è l’accettazione: “se un governo decide di attuare misure di austerità, è fondamentale, affinché tali misure siano accettate dalla maggioranza, che tutti partecipino allo sforzo. Compresi i più ricchi, senza stigmatizzarli”, spiega Creel. 

Riformare gli aiuti alle imprese 

La tassa Zucman non è l’unica leva per aumentare gli introiti. “La spesa pubblica è la droga della Francia” diceva Bruno Le Maire, ministro dell’economia dal 2017 al 2024 – considerato l’artefice della crisi francese – come anche Patrick Martin, presidente del Medef – il sindacato dei dirigenti d’impresa. 

Eppure, negli ultimi anni sono le imprese ad essere diventate sempre più dipendenti dagli aiuti statali. In un libro inchiesta intitolato “Le grand détournement”7 (Allary Editions, 2025), i due autori denunciano un sistema poco trasparente e senza vincoli che vale 270 miliardi di euro. 

Secondo Creel, gli incentivi sono necessari per le assunzioni, la ricerca e l’innovazione, ma una parte di questi, mascherano riduzioni di imposte.  

È il caso del credito d’imposta per la competitività e l’occupazione (CICE), introdotto da François Hollande nel 2013, per ridurre i costi del lavoro nelle aziende: “una misura da diversi miliardi di euro l’anno, perennizzato come riduzione d’imposta e quindi come una perdita di contributi versati dalle imprese”. 

Gestire meglio le pensioni e l’eredità 

Una terza proposta per gestire meglio le casse dello Stato consiste nella riforma sui diritti di successione, capace di generare circa 10 miliardi di euro l’anno: “i patrimoni sono talmente concentrati che anche un piccolo intervento al momento dell’eredità può generare entrate enormi”, afferma Sengayrac. 

Soldi che darebbero una boccata d’ossigeno ai conti della Sécurité sociale, il sistema di previdenza sociale francese, uno dei modelli più efficienti di ridistribuzione della ricchezza: ogni anno, 500 miliardi di euro passano dai più benestanti ai più bisognosi.8

Ma non è sufficiente: oltre un quarto di queste risorse serve a finanziare il sistema pensionistico francese e l’invecchiamento della popolazione sottrae risorse ad altri settori. Secondo Sengayrac è un problema, perché “i pensionati sono una parte della popolazione relativamente agiata. Alcuni di loro hanno uno stile di vita più dispendioso rispetto a un lavoratore attivo”.  

Contando che il 15,4% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, è urgente che la politica, impantanata in giochi di potere e poltrone, dia risposte.