Fare inchiesta oggi: la sfida di farsi leggere nell’era dell’attenzione frammentata


Articolo tratto dal N. 59 di L'ultimo numero: dentro la crisi dell'informazione Immagine copertina della newsletter

Perché oggi una notizia non basta più

Una volta una notizia, per essere letta, aveva solo bisogno di essere pubblicata in una testata di rilievo nazionale. Ecco, non più – e non credo sia una notizia. Non è questione di penuria, anzi. Per situarsi nel mondo, l’uomo moderno secondo Hegel deve praticare la preghiera laica della lettura del giornale ogni mattina.

Cioè, in pratica, per stare nella realtà, un individuo ha bisogno di chiavi per interpretarla. L’uomo contemporaneo che legge pochi giornali ha smesso di recitare le preghiere? È in crisi di fede, laica o religiosa che sia? Forse sì, in una qualche misura. O forse ha molti modi di “situarsi nel mondo”, quindi ha molti modi di interpretare la realtà. Le notizie sono ovunque e hanno mille sembianze.

Per quanto dappertutto, però, paradossalmente spesso sono difficili da raggiungere, perché difficili da trovare o difficili da comprendere.

Per una testata come IrpiMedia, il magazine di inchieste e approfondimenti online che co-dirigo insieme al compagno di mille avventure Giulio Rubino, uno dei rompicapi più difficili da risolvere è farsi leggere – cioè conquistarsi nicchie sempre più vaste di pubblico – e farsi capire – quindi farsi leggere fino in fondo, anche quando un pezzo è lungo, e trasmettere a pieno il significato di ciò che si racconta. Perché poi l’obiettivo ultimo di chiunque abbia l’ardire pubblicare è svolgere un servizio, il più rilevante possibile.

Il nuovo paradosso dell’informazione: farsi leggere, capire e… trovare

IrpiMedia viene dal mondo del giornalismo non profit, finanziato da grossi donatori che ritengono che diffondere informazioni sia un servizio a perdere dal punto di vista economico. Solo che hanno bisogno di impatto. La parola, nella nostra cerchia, è un po’ un tabù oppure un po’ il sacro Graal: non se ne vuole parlare troppo e quando se ne parla si pensa sia la via per risolvere ogni problema. In realtà è solo la metrica attraverso cui valutare dal punto di vista di chi produce notizia a cosa serve cercare di far sapere al mondo ciò di cui ci si è occupati.

A IrpiMedia collaboriamo con Antonella Napolitano che di mestiere fa consulenza sul tema. In pratica, ci aiuta a capire che cosa vogliamo farci con una notizia o una serie di notizie una volta che sono uscite.

Questo discorso vale soprattutto per un’inchiesta, un lavoro approfondito che ha svelato qualcosa che attivamente è stato precluso dalla conoscenza dell’opinione pubblica per qualche scopo (questo da definizione tradizionale di inchiesta). Perché si è scelto di dedicare tutto quel tempo a perseguire quella ricerca? Come si può dare valore a quel lavoro? Quando si può dire che l’inchiesta ha raggiunto il suo obiettivo?

Qualcuno potrebbe storcere il naso perché “i giornalisti fanno i giornalisti” e “una volta che una notizia è pubblica, è a disposizione di tutti”. Solo che queste tautologie funzionavano quando il collo di bottiglia della filiera delle informazioni era la pubblicazione.

Oggi c’è anche la distribuzione. I giornalisti devono sapere per quale pubblico stanno lavorando e devono preoccuparsi di rendere raggiungibile il proprio contenuto, perché altrimenti il loro sforzo sarà vano. Non devono fare questo lavoro da soli, ma devono dotarsi di qualcuno che li aiuti a diffondere. “Pubblico generalista” è un’espressione sempre più vuota. Il pubblico va cercato, costruito, alimentato. Va poi allargato.

Da una nicchia, se ne cercano altre. Lo sforzo immane per media piccoli e indipendenti come IrpiMedia è consegnare notizie il più possibile porta a porta a uno o più pubblici affezionati di riferimento. Perché in ultima istanza nel modello economico dell’informazione di oggi, chi crede nel valore del prodotto editoriale che si realizza deve partecipare alla sopravvivenza di una testata, pagando un abbonamento oppure donando. Quello che un tempo era il costo del giornale all’edicola.

Inchieste, spiegoni, podcast e social: come si costruisce oggi il “senso” delle notizie

Per IrpiMedia, all’inizio fu l’inchiesta. Anzi, l’inchiesta collaborativa e transnazionale, cioè frutto di un lavoro di squadra, in più Paesi, pubblicata di conseguenza su più testate contemporaneamente che cercano di farsi eco reciprocamente. Poi sono arrivate le inchieste in autonomia, quando un tema è di rilievo per IrpiMedia e non per altri. È allora che ci siamo accorti quanto sia difficile far capire il contesto e la rilevanza di un’inchiesta. Chi non li coglie, non può capire fino in fondo.

E alcune inchieste è normale che non siano leggibili per tutti allo stesso modo. Però con un’alfabetizzazione di massima possono almeno lasciare qualche traccia. E allora servono altri generi. Non più solo inchieste ma approfondimenti. Dentro gli approfondimenti ci sono feature, cioè articoli caratterizzati da un taglio particolare, oppure ci sono gli spiegoni, ovvero quelli che creano contesto. Poi i podcast, le newsletter, i contenuti sui social che da soli danno gli elementi fondamentali di un’inchiesta, i libri, gli eventi dal vivo. Tutto quello che serve ad allargare.

Questo lavoro non si interrompe mai. Passa sempre da alleanze con chi può aiutare a veicolare il messaggio fuori dalla cerchia di chi già conosce. Sapendo poi che la materia in questione è ciò che di più lontano esista dalla scienza esatta. Quindi a volte si finisce divorati dal proprio alleato, a volte si buca la soglia dell’indifferenza con un articolo che non ha nulla di nuovo, a volte si raccolgono meno click con uno scoop sulla bocca di tutti che con un long form su un argomento inequivocabilmente per pochi. È parte del gioco.

In ogni caso, se è vero che il mondo dell’informazione è in crisi, una possibile soluzione non può che passare da una sintesi tra “le preghiere laiche” di epoca moderna e le notizie “a domicilio” delle piattaforme contemporanee. Sempre con l’obiettivo di fornire strumenti sempre più raffinati e precisi per collocarsi nella realtà.