Assicurazioni e polizza catastrofale: se la crisi climatica è una questione privata 


Articolo tratto dal N. 54 di Il capitalismo nuoce gravemente Immagine copertina della newsletter

“Non possiamo pensare che lo Stato possa intervenire sempre e per tutti. Non ci sono più le risorse necessarie per un’emergenza che è diventata pressoché quotidiana”. 

Mentre Sebastiano Musumeci, Ministro per la protezione civile e le politiche del mare, pronuncia questa frase, tante zone del Piemonte e della Valle d’Aosta sono ancora in lotta con il fango: siamo nel 2024, e a fine giugno l’estate sulle vallate alpine nord occidentali sembra sparire per qualche giorno lasciando il posto alla ferocia di un clima che non concede riparo dai nubifragi e dalle alluvioni.

Città e paesi fanno i conti con l’isolamento generato dalle frane, i collegamenti tra le valli resteranno interdetti per giorni e centinaia di persone saranno costrette ad abbandonare le loro case abitazioni. 

Dallo stato sociale alle polizze assicurative 

Accostare i danni dell’ennesimo evento estremo in Italia alle dichiarazioni di Musumeci è forse il modo migliore per capire la volontà di spostare gli effetti della crisi climatica a una questione privata. In che modo? Con un’assicurazione per eventi catastrofali. L’esternazione di Musumeci è infatti un manifesto politico: davanti alla sfida del secolo, lo stato sociale deve arretrare per fare spazio alle polizze assicurative 

Per il Ministro questo scenario dovrebbe essere applicato alle case, ai terreni e alle attività produttive e a ogni strumento necessario per fare impresa.  

“È finito il tempo in cui lo Stato dava risorse a tutti e per tutto”, precisava un anno fa, il 20 settembre 2024 a Roma durante la conferenza organizzata dall’Ania, l’associazione delle imprese assicurative all’interno del G7 dei ministri delle finanze. L’invito ad attrezzarsi fa parte di una prospettiva che il governo sta già mettendo in campo: basti pensare alla polizza catastrofale obbligatoria introdotta nella legge di bilancio 2024.  

Incendi, alluvioni, frane, grandine, trombe d’aria e inondazioni: da ora in avanti le imprese italiane avranno l’obbligo di stipulare questa copertura assicurativa. Vale per le grandi aziende, come per le cooperative e per la piccola imprenditoria, a esclusione del comparto agricolo.

La mancata sottoscrizione della copertura assicurativa sarà considerata nel momento in cui si valuterà l’assegnazione di contributi, incentivi o altre forme di sostegno economico pubblico. Allo stesso tempo, le compagnie assicurative avranno l’obbligo di offrire la copertura richiesta, seguendo un modello simile a quello già previsto per l’assicurazione obbligatoria sull’auto.

Franchigia, massimali, limiti di indennizzo, scoperto: il lessico assicurativo adesso avvolge anche i fenomeni climatici estremi rendendo misurabili i danni ai fini di una copertura e di un risarcimento.

Depoliticizzare la crisi climatica 

Secondo i dati dell’Ispra, più di 1,3 milioni di persone e circa 600 mila famiglie risiedono in aree esposte a rischio frane. 7 milioni vivono in territori soggetti a potenziali alluvioni, gli edifici situati nelle zone più vulnerabili dal punto di vista idrogeologico superano i due milioni e il 94% dei Comuni italiani presenta almeno una porzione del proprio territorio a rischio dissesto.  

Mentre Musumeci dichiarava la resa dello Stato davanti i danni del cambiamento climatico, l’Emilia Romagna era di nuovo sott’acqua. Secondo quanto rilevato da Arpae Emilia-Romagna, tra il 17 e il 19 settembre 2024 si sono abbattute piogge eccezionali, con picchi che hanno raggiunto 360 millimetri di acqua, di cui 285 millimetri caduti in appena un giorno. Le precipitazioni intense hanno provocato piene significative nei bacini dei fiumi Idice, Sillaro, Santerno, Senio, Lamone e Montone, dove in diversi tratti gli argini non hanno retto alla pressione dell’acqua, causando esondazioni e allagamenti estesi che hanno colpito intere comunità.  

Un incidente provocato dalla natura? Un evento catastrofale? Alla luce della nuova normativa come si dovrebbero resocontare questi danni? L’articolo del decreto che disciplina la polizza obbligatoria da catastrofe definisce così un alluvione:  

fuoriuscita d’acqua, anche con trasporto ovvero mobilitazione di sedimenti anche ad alta densità, dalle usuali sponde di corsi d’acqua, di bacini naturali o artificiali, dagli argini di corsi naturali e artificiali, da laghi e bacini, anche a carattere temporaneo, da reti di drenaggio artificiale, derivanti da eventi atmosferici naturali. Sono considerate come singolo evento le prosecuzioni di tali fenomeni entro le settantadue ore dalla prima manifestazione.  

Non c’è solo il tentativo di ridurre il carico sulla spesa pubblica, nei discorsi e nelle disposizioni di Musumeci c’è la conferma di voler depoliticizzare la crisi climatica. Perché i fiumi insorgono? Cos’è che ha generato l’alluvione in Emilia o una stagione di incendi in Sicilia?

La promozione della cultura assicurativa riesce a eludere queste domande, lasciando piena legittimità e giustificazione ai piani speculativi, alla varianti urbanistiche che consentono di edificare nelle zone alluvionali e alla spoliazione delle risorse naturali da parte di chi crede di possedere i territori.

Si richiede in sostanza di equipaggiarsi e di farsi trovare pronti al prossimo nubifragio, o meglio di avere le garanzie e le coperture giuste per ripartire, ma intanto lo Stato sceglie di restare annodato ai poteri fossili, i primi responsabili del riscaldamento globale, e quindi anche dell’aumento della frequenza degli eventi climatici estremi. 

Inerzia al potere e inazione climatica 

L’Italia, infatti, come ricorda il titolo del dossier curato da A Sud, in ambito di politiche climatica ha scelto una strategia specifica: l’inerzia al potere. Oggi il governo chiede di fare ciascuno la propria parte per affrontare questa nuova era climatica, ma a non agire è il sistema politico.

“L’Italia – ricordano gli autori del report – è tra i cinque paesi europei con la peggiore performance complessiva in ambito di clima e energia e tra i paesi con i risultati più bassi in assoluto a livello globale ed è uno dei pochi paesi europei a non disporre di una legge quadro sul clima, fondamentale per ridurre drasticamente le emissioni”. Secondo gli scenari delineati dall’IPCC, gli sforzi attuali dell’Italia non sono compatibili con il ritmo di riduzione delle emissioni necessario a livello globale per mantenere l’aumento della temperatura entro il limite di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi, anche in uno scenario di “sforamento limitato”.

Per rispettare la traiettoria indicata dal Gruppo intergovernativo e dal Patto per il Clima di Glasgow (COP26), l’Italia dovrebbe infatti tagliare le proprie emissioni del 63% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990/2010 — ben oltre la media globale del 45% necessaria per restare sulla rotta del contenimento climatico. 

Queste inadempienze sono anche alla base del contenzioso climatico intentato da A Sud contro lo Stato italiano. Si tratta della prima causa civile che trascina in tribunale l’Italia per inazione climatica e per aver esposto migliaia di cittadine e di cittadini alle conseguenze degli eventi estremi, quei fenomeni che la legge sulle assicurazioni alle catastrofi riduce a violenze naturali senza colpevoli. 

Qualche settimana fa, nel corso della sua 60ª sessione, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha esaminato un rapporto elaborato dal Meccanismo di esperti sul diritto allo sviluppo, dal titolo “Giustizia climatica, sostenibilità e diritto allo sviluppo”.

Il documento sottolinea che la giustizia climatica non è soltanto una scelta politica, ma rappresenta anche un dovere etico e un tema di diritti umani fondamentali. Il cambiamento climatico incide direttamente sui bisogni essenziali delle persone: dall’accesso al cibo e all’acqua fino al diritto a un’abitazione sicura e alla protezione personale. 

Rispondere a questi bisogni è un obbligo di ogni autorità pubblica, non trasferibili a una compagnia assicurativa. Eppure, sta accadendo il contrario: invece di garantire protezione alle comunità, il messaggio dello Stato è chiaro: preparati al prossimo incendio, o ti assicuri o resti da solo, con le fiamme negli occhi.