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LA BATTAGLIA DEL LAVORO L’ultima ipotesi, sul blocco dei licenziamenti stabilito dal governo a inizio emergenza, sarebbe quella di estenderlo per un mese oltre il 31 marzo per tutti, passando successivamente a un divieto ristretto solo ai settori più colpiti dalla crisi pandemica (Huffington Post). La decisione, attesa questa settimana, è slittata a causa della crisi di governo che ha fatto finire in secondo piano l’agenda economica (Corriere). Eppure, secondo la Fondazione dei consulenti del lavoro, l’eventuale sblocco potrebbe rappresentare un autentico boomerang per l’occupazione, specie in settori come il commercio e la ristorazione. Il rischio, come riporta il ricercatore Lorenzo Spadavecchia, è di perdere circa il 12% dei posti di lavoro: rischio che sale addirittura al 14% nel comparto dei lavoratori autonomi, con effetti assai più drastici al Sud (Adnkronos). Secondo il Cnel, la crisi conseguente alla pandemia ha colpito 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, e con la fine del blocco dei licenziamenti la situazione potrebbe diventare esplosiva (Corriere). Nel primo semestre del 2020, sono già spariti ben 170mila lavoratori autonomi, soprattutto giovani e donne (Repubblica). E ancora una volta è soprattutto al Mezzogiorno (Quotidiano del Sud) che il bilancio per il lavoro sarà più negativo, sommandosi a situazioni locali di depressione economica.
Il crollo del Pil nel 2020 è più intenso nel Centro-Nord. Ma a preoccupare sono le ricadute sociali dell’impatto occupazionale, più forte nelle regioni meridionali: nei primi tre trimestri del 2020 la riduzione dell’occupazione al Sud è stata del 4,5% (-280 mila posti di lavoro), il triplo rispetto al Centro-Nord, con conseguenze maggiori sulla fascia giovanile (Redattore Sociale).
Vincitori e vinti
Il blocco dei licenziamenti italiano, stabilito per decreto da inizio pandemia, è un unicum nel panorama occidentale (La Stampa). Davanti allo spettro di 1 milione di posti di lavoro che potrebbero andare in fumo, il governo ha già prorogato il blocco (Il Sole 24ore). E oggi, in vista della scadenza del 31 marzo, i sindacati chiedono di prolungare ancora il divieto generalizzato fino all’estate, mentre Confindustria propone di limitarlo alle attività chiuse per decreto, lamentando il congelamento delle attività imprenditoriali anche sul fronte delle nuove assunzioni (Corriere). Oltre confine
L’ultima analisi trimestrale su occupazione e sviluppi sociali della Commissione europea sottolinea la preoccupazione in merito all’impatto della crisi sui giovani in tutto il vecchio continente. E i dati Eurostat lo confermano: il tasso medio dei giovani occupati nell’Ue è diminuito di 2,1 punti percentuali rispetto al periodo pre pandemia. Tutti gli Stati membri hanno registrato una diminuzione dell’occupazione giovanile, a eccezione della Germania (Ansa).
In Italia, la legge di bilancio 2021 ha investito 500 milioni di euro in un fondo per le politiche attive. Le risorse, anche se poche rispetto ai circa 44 miliardi lordi destinati alle politiche passive nel 2020, sono gestite centralmente e finanziano, con 233 milioni di euro, un nuovo programma denominato Gol, “garanzia di occupabilità dei lavoratori”, per ricollocare i disoccupati (Lavoce.info). Lo stesso strumento si trova nel capitolo dedicato al lavoro del documento del Recovery Plan italiano all’esame del Parlamento. Nella missione del piano, denominata “Inclusione e coesione”, si stanziano 12,62 miliardi per il lavoro, con cinque obiettivi: sostenere i livelli di occupazione, far fronte al disallineamento delle competenze tra lavoratori e mercato (Impakter), far fronte alle esigenze di formazione e lavoro per i giovani con l’apprendimento duale, promuovere l’imprenditorialità femminile, sostenere il servizio civile universale per rafforzare le soft skill (Linkiesta). Ma il governo dovrà decidere se continuare a difendere il sistema non funzionante dei centri per l’impiego attuali o se puntare a nuove credibili politiche attive del lavoro, scrive Formiche. E in questo quadro entra anche la decisione sul futuro dei navigator, in scadenza di contratto ad aprile, diventati il simbolo del fallimento delle politiche del lavoro del Conte bis. Eppure sarebbe una sconfitta per tutti se non si trovasse per loro una soluzione equa, ha scritto Ferruccio De Bortoli sul Corriere. Queste figure oggi potrebbero essere ancora più essenziali, quando scadrà il blocco dei licenziamenti, per mitigare gli effetti sociali della pandemia.
Soglie minime
Dall’altra parte dell’Oceano, anche la nuova agenda Biden “Build Back Better” punta sulla ripresa dell’occupazione piegata dalla pandemia: i disoccupati negli Usa sono 11 milioni. Il pacchetto presentato dal nuovo presidente prevede l’aumento del sussidio di disoccupazione da 300 a 400 dollari (Wired). E tra i primi provvedimenti attuati, c’è anche quello che getta le basi per l’aumento del salario minimo a 15 dollari l’ora.
Alle agenzie e dipartimenti federali è stato ordinato di fare una revisione per indicare quali categorie di lavoratori abbiano un salario inferiore a quello minimo e di presentare raccomandazione per poter aumentare questi stipendi (Cnbc). Di questo aumento – scrive Business Insider – beneficerebbe un terzo dei lavoratori afroamericani. E anche la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva per istituire un salario minimo in tutti i Paesi membri, dove in media quasi il 10% dei lavoratori vive in povertà. Secondo una valutazione sull’impatto della direttiva, una tutela superiore del salario minimo potrebbe portare a una riduzione della povertà lavorativa e delle diseguaglianze retributive di oltre il 10% e alla riduzione delle differenze salariali tra uomini e donne del 5%. La proposta, però, non obbliga i Paesi ad attuare una paga minima oraria (Manifesto). In Italia, la legge sul salario minimo è stata annunciata più volte, ma mai realizzata. E, con il collegamento alla contrattazione collettiva, restano problemi legati al lavoro autonomo povero e agli appalti, in cui sono diffusi i cosiddetti contratti pirata (Lavoce.info). Eppure, scrive EticaEconomia, sarebbe un’opportunità e una sfida soprattutto nell’epoca del Covid. .
CONSIGLI DI LETTURA
Forza Lavoro! Ripensare il lavoro al tempo della pandemia \
In un Paese che non ha ancora curato le ferite della grande recessione indotta dalla crisi del 2008, lo scoppio della pandemia di Covid-19 ha fatto emergere vecchie e nuove fragilità del mercato del lavoro. Contraddizioni e insostenibilità di un modello, quello italiano, caratterizzato da un lavoro sempre più spesso povero, svalutato, caratterizzato da precarietà e pervaso da discriminazioni profonde – in primo luogo di genere e di etnia – trasversali a tutti i settori del sistema economico.
Al tempo della pandemia, quali diritti, tutele e riconoscimento sociale per gli occupati nei settori “essenziali”?
Il tentativo è di rileggere temi come la rappresentanza, la salute, le forme di controllo, le tutele, l’accesso al reddito e la conciliazione vita-lavoro alla luce dei fatti degli ultimi mesi, con un focus su alcune tra le categorie al centro della crisi – tele-lavoratori, ciclo-fattorini, autonomi, working poor, braccianti – ma anche gruppi demografici come donne, giovani e migranti. Un volume in cinque parti, cui hanno contribuito sociologi, economisti, esperti di relazioni industriali, per descrivere gli scenari presenti e futuri del mondo del lavoro, alla luce della crisi attuale e delle trasformazioni che caratterizzeranno gli anni a venire.
Il volume è l'esito editoriale del ciclo di incontri Forza Lavoro! condotto nel 2020 in collaborazione con The Adecco Group, nell'ambito dell’Osservatorio sul Futuro del Lavoro.
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