“Garantire le funzioni di rappresentanza democratica generale”: lo dice chiaramente il secondo articolo qui riproposto e pubblicato il 15 dicembre 1964 sul settimanale «Il Mondo».
Dinnanzi all’elezione del Presidente della Repubblica, le forze politiche dovrebbero poter convergere su un nome che non discende dal calcolo di potere ma dalla ricerca di garanzie di equilibrio.
Era il dicembre 1964. La crisi politica della Repubblica italiana è acuta. Un malessere istituzionale che poi alcuni interpreteranno come “voglia di golpe”; un presidente della Repubblica, Antonio Segni (fra i fondatori della Democrazia cristiana, nelle cui liste fu eletto Deputato all’Assemblea Costituente, più volte ministro, due volte Presidente del Consiglio dei ministri, Segni fu eletto Presidente della Repubblica il 6 maggio 1962 con il concorso dei voti del MSI e dei Monarchici), che si dimette, ufficialmente per motivi di salute, sebbene dietro ci sia il suo tramonto politico.
Finisce l’Italia a supremazia democristiana: il problema è riuscire a trovare un’altra figura che dia garanzia di democrazia e sia espressione di una cultura politica o laica o socialista.
La necessità di eleggere un presidente che sia trasversale e che non sia solo scelto dalla maggioranza governativa.
È questa la tesi che in tre articoli, a firma di Mario Panunzio, esponente della cultura liberal-democratica, ritroviamo su «Il Mondo» tra il dicembre 1964 e il gennaio 1965. Indicano il dispositivo per eleggere un presidente che, oltre le appartenenze, segni la scommessa di innovazione.
Il presidente eletto il 28 dicembre 1964 dopo 21 votazioni (un record) sarà Giuseppe Saragat (1898-1988), socialdemocratico, laico, convinto europeista, uomo della Resistenza. È la prima volta di molte cose: espressione di un partito di minoranza; figura storica del fuoriuscitismo antifascista; democratico ma soprattutto laico.