Calendario Civile \ 7 dicembre 1970


A cura di Chiara Paris


Sono passati cinquant’anni dal giorno in cui Willy Brandt, cancelliere della Repubblica Federale tedesca, si inginocchia davanti il monumento ai caduti del Ghetto di Varsavia con la consapevolezza di trovarsi a un banco di prova della storia.

Abbiamo chiesto a Jacopo Perazzoli di raccontarci la rilevanza morale del gesto di Brandt a Varsavia, tratteggiando l’ampio e complesso contesto politico in cui si inserisce. Un gesto conciso e silenzioso che, come scrive Jacopo Perazzoli nel suo contributo, si fa emblema duraturo e ancora attuale di un atteggiamento politico coraggioso e visionario, volto a promuovere un indirizzo di sviluppo solidale tra i paesi europei.

Le domande che ci siamo posti – e che hanno animato il recente seminario Memoria Europea  – chiamano in causa l’Europa di oggi, le nuove linee di tensione che la attraversano – non solo geopolitiche ma anche valoriali – e quale sia il ruolo della memoria europea in vista di uno sviluppo ulteriore di politiche comunitarie improntate alla coesione.

Come scrive Guido Crainz, infatti, ricostruendo un quadro di contesto ampio e di lunga durata, la genuflessione di Brandt rappresenta un momento alto del tentativo di superare le lacerazioni della storia europea. Le aspettative di futuro dell’Europa di oggi – così sfaccettata al suo interno – poggiano su passati problematici e conflittuali, rispetto ai quali, suggerisce Crainz, bisognerebbe costruire un’area di memorie interagenti e possibilmente dialoganti.


Il gesto di Brandt a Varsavia cercava di gettare un ponte tra due comunità nazionali particolarmente traumatizzate, divise da una profonda lacerazione appunto, un ponte che – come scrive Brandt nelle sue memorie – doveva collegare la storia del popolo tedesco alle sue vittime, in segno di fratellanza. Sulle trattative diplomatiche con la Polonia gravava un carico di ricordi dolorosi e di condizionamenti emotivi dovuti alle forme particolarmente brutali che qui aveva assunto la volontà di sterminio dell’apparato totalitario della Germania nazista. Le memorie del cancelliere Brandt restituiscono la lucida consapevolezza di muoversi su un terreno di confronto diplomatico fortemente compromesso, da cui derivava un atteggiamento vigile sugli aspetti morali e sulla pubblica ammissione di responsabilità rispetto alla propria storia e alle sue conseguenze.

Le prime battute di questo dialogo aperto nel senso della distensione vennero dalle Chiese e dalle loro comunità, le quali crearono i presupposti di una distensione psicologica prima che effettivamente diplomatico-politica. Il primo ottobre 1965 la Camera per le relazioni pubbliche della Chiesa evangelica tedesca (EKD) presentò un memoriale che affrontava direttamente il problema della frontiera con la Polonia, un gesto al quale seguì rapidamente una reazione da parte dei vescovi polacchi che risposero con una lettera di conciliazione inviata ai vescovi tedeschi cattolici riuniti a Roma. Questi primi atti di distensione richiamavano l’attenzione sulla responsabilità storica dello stato tedesco e sulla legittimità del senso di cittadinanza espresso dalle comunità polacche residenti nei territori a est della linea Oder-Neisse, territori tedeschi che erano stati ceduti alla Polonia dopo il trattato di Versailles del 1919 e poi riannessi dalla Germania hitleriana.

L’Ostpolitik – la politica internazionale volta alla normalizzazione dei rapporti con i paesi del blocco sovietico – in relazione alla Polonia origina nelle dichiarazioni fatte da Brandt al congresso di Norimberga del 18 marzo 1968. Questo intervento conteneva un primo significativo riconoscimento della linea di confine Oder-Neisse, necessaria a soddisfare il bisogno di stabilizzazione della Polonia non più disposta a vivere un regime di “mobilità” frontaliera. A queste dichiarazioni seguì un’inedita apertura da parte del capo di governo polacco, Wladyslaw Gomulka, che costituisce il presupposto dei successivi incontri diplomatici trai due stati e dell’effettiva firma del trattato di Varsavia quello stesso 7 dicembre 1970.

La sistemazione delle frontiere – nello specifico l’inviolabilità di quella tedesco-polacca – era un elemento fondamentale da cui dipendeva la possibilità che esistesse un’Europa pacificata. Il viaggio a Varsavia del 1970, con il gesto simbolico della genuflessione che vi è incastonato dentro, rappresenta, perciò, un momento emblematico di un processo più ampio.

In un continente europeo sottoposto a due differenti blocchi superarmati, la politica di Brandt vista nel complesso appare come un piano ambizioso che chiamava in causa le finalità profonde del progetto europeo e i suoi possibili sviluppi nonostante l’andamento lento e i possibili inciampi dell’unificazione politica ed economica (è questo il tema dell’introduzione di Pietro Nenni alla traduzione italiana, pubblicata nel 1971, del saggio di Willy Brandt Politica di pace in Europa). Attraverso un costante lavorio diplomatico Brandt suggeriva di relativizzare la linea di separazione tra Ovest e Est dell’Europa e considerare le ragioni geografiche, storiche e culturali che avrebbero legittimato il pieno riconoscimento dell’appartenenza all’Europa dei paesi dell’Est. Al centro della Ostpolitik non troviamo l’esternazione di vaghe intenzioni pacifiche, ma l’organizzazione di una effettiva politica di pace che prevedeva la non proliferazione delle armi atomiche, l’integrazione a Ovest e lo «smantellamento delle tensioni» a Est, come scrive Brandt stesso.

Nonostante questo atteggiamento politico valse l’attribuzione a Willy Brandt del premio Nobel per la pace nel 1971 (in riferimento al quale proponiamo il discorso di ringraziamento pronunciato il 10 dicembre 1971 da Brandt all’Università di Oslo) le sue politiche distensive furono osteggiate da una forte opposizione parlamentare da parte del partito cristiano democratico (CDU) e di quello cristiano sociale (CSU) che premeva per la rivendicazione territoriale delle zone ex tedesche restituite alla Polonia, e furono nei fatti radicalmente contraddette dalla reazione autoritaria del governo Gomulka che, il 17 di quello stesso dicembre 1970, represse nel sangue le manifestazioni degli operai dei cantieri navali di Gdynia.

Questo coraggioso indirizzo politico illumina dal passato alcune complessità dell’Europa attuale, i cui confini hanno effettivamente accolto gran parte dei paesi dell’ex blocco sovietico con il loro inevitabile portato di diversità culturale e di esperienza storica. Il gesto autorevole e allo stesso tempo umile di Brandt rappresenta una pietra angolare del progetto di un’Europa solidale che costruisca ponti piuttosto che muri, che sia capace di contenere i particolarismi di cui necessariamente si compone. Che sia disposta ad aprire spazi in cui negoziare i significati e le memorie problematiche.


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